Storie d’estate | F1, Zeltweg 1975: il Gorilla di Monza mette in riga tutti nel diluvio
Ripercorriamo, a cinquant'anni di distanza, l'impresa di Vittorio Brambilla, trionfatore al termine di una giornata storica per l'automobilismo

La F1 e la pioggia: un rapporto controverso, spesso contradditorio, ma che ha dato vita a gare e storie entrate nella leggenda del motorsport. E quella scritta il 17 agosto di cinquant’anni fa sui saliscendi dell’Osterreichring è proprio una di queste: Vittorio Brambilla, pilota monzese che più monzese non si può, vinse in una giornata da tregenda, segnata da un diluvio incessante e dall’incidente, purtroppo con conseguenze mortali, di Mark Donohue avvenuto nel warm-up.
L’anno di Lauda e della Ferrari
Il campionato Mondiale 1975 passò alla storia per aver segnato il ritorno all’alloro iridato della Scuderia di Maranello, che ad inizio stagione confermò la coppia formata dall’esperto Clay Regazzoni e dal giovane Niki Lauda, arrivato nel ’74 e già in grado di caricarsi sulle spalle la rinascita della squadra del Drake, appoggiato dal giovanissimo Direttore Sportivo Luca Cordero di Montezemolo e da uno dei direttori tecnici che hanno fatto la storia di questo sport, l’ingegner Mauro Furia Forghieri.
L’impresa si rivelò certamente complicata: strappare il titolo dalle mani di Emerson Fittipaldi e della McLaren guidata da Teddy Mayer non fu certo un gioco da ragazzi, considerando anche che il brasiliano conquistò la gara inaugurale in Argentina. Da Monaco in poi, però, la musica cambiò in maniera importante, e in agosto Lauda e Ferrari si presentarono in Austria già con la possibilità di diventare Campioni del Mondo con due gare di anticipo se il padrone di casa avesse vinto o avesse chiuso la gara in zona punti davanti a Carlos Reutemann e allo stesso Emmo Fittipaldi. Il destino aveva però in serbo qualcosa di diverso per la F1, anche se la festa per Lauda e per il Cavallino fu solo rimandata di qualche settimana.
Il botto di Donohue e il programma ritardato
Tutto sembrava volgere al meglio per Niki Lauda, autore della pole position nel corso del weekend. La domenica, però, iniziò subito in maniera poco felice, con l’incidente di Mark Donohue all’ingresso della prima curva del tracciato austriaco, la Hella Licht Kurve. Per inciso, il vecchio Osterreichring era ben altra cosa rispetto all’attuale layout del Red Bull Ring: più lungo, più movimentato e ben più insidioso. Lo scoppio di uno degli pneumatici della March gestita dal team Penske catapultò l’americano oltre le barriere, contro i tabelloni pubblicitari.
Quello che inizialmente sembrò un miracolo, con i soccorritori Fittipaldi e Stuck a trovare il pilota cosciente e in apparente buono stato, nel volgere di qualche ora si tramutò in tragedia. L’americano, protagonista dell’epopea Porsche in Can-Am andò in coma a causa di un grumo di sangue all’altezza del cervello, senza più riprendersi e morendo poi tre giorni dopo in una clinica di Graz. Un duro colpo per il futuro Capitano, che da qui in poi iniziò a interessarsi sempre meno delle competizioni in F1.

Tra l’altro, il botto aveva provocato il decesso istantaneo di due marshall posizionati proprio in quel punto del tracciato, oltre alla completa distruzione delle barriere. I lavori per risistemare il tutto si protrassero più a lungo del previsto, costringendo gli organizzatori del Gp d’Austria, valevole in quell’occasione anche come Gran Premio d’Europa, a posticipare l’orario di partenza alle 15:30.
Pioggia, tensioni e quella March arancione
Poco prima del via, un altro fattore andò a scombussolare ulteriormente le carte in un weekend destinato per tanti versi a segnare la storia del motorsport. La pioggia iniziò a farsi sempre più pesante, costringendo vetture e piloti ai box per altri interminabili minuti prima del via definitivo, arrivato ben oltre le 16 locali. La battaglia, scattata per tutti con gomme rain nonostante gli assetti non certo pensati per il diluvio che intanto si stava scatenando sulla Stiria, vide in un primo momento prevalere il poleman Lauda, favorito anche dalla prima posizione che gli permise di evitare la nuvola d’acqua sollevata dalle altre vetture. Ben presto, però, l’austriaco si dovette arrendere agli attacchi della Hesketh di James Hunt, prima che il motore di questi iniziasse a fare le bizze, intorno al 15° passaggio.
Iniziò a questo punto una serie di uscite di pista a causa delle condizioni del tracciato, con conseguenti soste ai box, da cui emerse in maniera sempre più netta e decisa la March colorata di arancione di Vittorio Brambilla. Il Monza’s Gorilla, così lo avevano soprannominato gli inglesi, sembrava fluttuare con la sua vettura dove gli altri faticavano a tenere la traiettoria, andando in testa alla gara nel momento decisivo, senza commettere nessun errore. Avuta la meglio su Lauda, il brianzolo si innestò negli scarichi di Hunt, costringendo l’inglese a cedere dopo un paio di tentativi.
Mentre Brambilla completava la sua fantastica rimonta in pista, ai box si scatenava una querelle destinata a rimanere negli annali, con protagonisti gli scatenati Luca Cordero di Montezemolo e Bernie Ecclestone. Il manager della Ferrari chiedeva a gran voce al Direttore di Gara la bandiera rossa a causa delle condizioni del tracciato, mentre il boss della Brabham e futuro padrino indiscusso del Circus si prodigava per far continuare il Gran Premio. Alla fine, la bandiera a scacchi venne calata al 29° passaggio, dimezzando così la durata della gara e del punteggio elargito ai piloti, ma sancendo anche il trionfo meritatissimo di un uomo che fino ad allora aveva avuto ben poche possibilità di mettere in mostra il proprio enorme talento.

L’apoteosi di una carriera
Tanta fu la gioia della vittoria che, tagliato il traguardo, Brambilla alzò entrambe le braccia per festeggiare, lasciando il volante per solo un secondo, ma sufficiente a fargli perdere il controllo della vettura e finire contro le barriere. Poco male, solo un musetto accartocciato, che per anni peraltro farà poi bella mostra di sé negli uffici Beta, sponsor della vettura dalla caratteristica livrea arancione.

A 38 anni suonati, dunque, Vittorio Brambilla riuscì a trovare la via del successo in F1, dopo una carriera passata a guidare (ed andare fortissimo) veramente di tutto, dalle moto alle auto, insieme al fratello maggiore Tino, altro rappresentante unico di quella fucina di talenti che erano negli anni ’60 e ’70 gli autodromi italiani. Veraci, aggressivi il giusto e poco inclini alla comprensione in pista: i fratelli Brambilla erano tipetti da prendere con le molle. Una cosa però è certa: hanno contribuito in maniera importante a dare lustro al nostro automobilismo, e spesso colpevolmente ci si dimentica di queste figure dai tratti mitici.
Oggi, a cinquant’anni di distanza, rendiamo omaggio all’impresa, ma soprattutto all’uomo Brambilla, ai suoi rivali e colleghi, e a tutti coloro che hanno contribuito a scrivere questa bellissima e indelebile pagina di motorsport.
Nicola Saglia