La morte di Frank Williams chiude in qualche modo un’epoca della Formula Uno, di cui il team manager inglese è stato per quasi quarant’anni protagonista assoluto. Per comprendere meglio la caratura del personaggio, basta dare un’occhiata ai tecnici e ai piloti passati sotto la sua direzione o che hanno avuto con lui un rapporto di collaborazione. Un elenco infinito, che al suo interno però non racchiude solo nomi e aride cifre, ma storie, emozioni e, perché no, momenti drammatici che da sempre fanno parte del motorsport.

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Patrick Head, l’alter ego di Sir Frank

Se c’è una persona che, nel corso degli anni, ha avuto un rapporto strettissimo con Frank Williams, questa è sicuramente Patrick Head. L’ingegnere inglese, suo socio storico, fino alla fine del 2011 è stata una figura onnipresente all’interno del box Williams, con quel suo classico sguardo accigliato fisso sul monitor di servizio.

“Alla fine del ’76 - racconta Head - Frank fu messo alla porta da Walter Wolf. Così mi chiamò, e mi propose di entrare come socio nel suo nuovo team. Iniziammo così, e nella prima stagione corremmo con una sola macchina in 10 gare delle 16 previste; questo fu l’avvio della nostra storia”.

Dalla fine dei Seventies fino ai trionfi degli anni ’90, Williams ha sempre saputo di poter contare sulle spalle larghe del suo socio, nonostante quel suo modo di fare non certo facile. Non era raro vederli uno accanto all’altro durante i Gran Premi, e l’apporto di Head fu fondamentale in quel drammatico 1986, quando un incidente stradale costrinse Williams alla sedia a rotelle, e per un periodo di tempo abbastanza lungo Patrick si fece carico del team. “Alla fine di quell’anno, in cui con Honda vincemmo il Costruttori, ero veramente esausto!”.

Un rapporto strettissimo, cementatosi nel corso degli anni e ricco di successi, ma anche di momenti difficili: uno su tutti, la morte di Ayrton Senna, con strascichi giudiziari anche nei suoi confronti. Williams, però, non si è mai voluto privare del suo braccio destro, dandogli sempre il massimo dei poteri all’interno del team, come testimoniato da Alex Zanardi, licenziato dopo un anno praticamente per volere di Head.

Ancora oggi, mentre salutiamo il patròn, Patrick Head lavora come consulente nella sede di Grove; difficile trovare qualcuno con più senso di appartenenza al team, se non Williams stesso.

Adrian Newey, dall’esplosione del Genio alla tragedia di Senna

Nel 1990, la Williams è ormai una realtà consolidata, un top team. Frank, allora, decide di portarsi in casa uno dei migliori ingegneri in circolazione, che ha già fatto vedere cose egregie alla Leyton House. Si tratta di Adrian Newey, mente geniale che mieterà successi negli anni a venire anche con McLaren e Red Bull.

Già nella seconda metà del 1991 i risultati furono strabilianti, ma fu dal ’92, con il Mondiale vinto da Nigel Mansell al volante della FW14, che la scuderia di Grove fu semplicemente irresistibile. L’idillio portò ai titoli ’92 e ’93 con Prost, ’96 con Hill e l’anno successivo con Villeneuve, in cui però la vettura aveva già perso il proprio “padre”, spostatosi alla McLaren.

A incrinare un rapporto così ricco di successi, sicuramente giocò un ruolo determinante quanto successe a Imola il 1° Maggio 1994. La morte di Senna, i sospetti relativi alla vettura, la rottura dello sterzo; tutti elementi che non favorirono certo la coesione all’interno del garage Williams.

“Mi sento colpevole. Io ero uno dei capi in un team che realizzò una macchina a bordo della quale un grande uomo è stato ucciso. Che sia stata o meno il piantone dello sterzo a provocare l’incidente, non posso sfuggire alla realtà. C’era un pezzo progettato male che non avrebbe dovuto trovarsi sulla macchina”, ha scritto Newey nel suo libro, “How to build a car”.

Ulteriori crepe si crearono dopo le sconfitte del ’94 e del ’95, che portarono Newey sempre più lontano da Frank, che pure ha sempre testimoniato la sua stima nei suoi confronti. Due personalità forti, che insieme hanno segnato per sempre la storia del motorsport degli anni Novanta, tanto da convincere due dei più grandi di sempre, Senna e Prost, che per vincere il Titolo esisteva una sola possibilità: essere pilota Williams!

Piers Courage, il pilota feticcio

Tutti i grandi capi (oggi li chiameremmo Team Principal) della storia della Formula 1 hanno una predilezione per uno o più dei propri piloti. Basti pensare a Ferrari con Villeneuve, o a Briatore con Alonso; ecco, per quanto riguarda Frank Williams, senza dubbio Piers Courage era da lui considerato quasi come un simbolo, un feticcio.

Il pilota di Colchester tiene a battesimo praticamente tutte le vetture di Frank a partire dalla F.3, fino alla primissima avventura in F.1, targata De Tomaso. Il costruttore argentino aveva affidato a Gian Paolo Dallara la costruzione di una vettura che potesse correre gestita dal team di Frank. Da questa strana ma affascinante (tipicamente Sixties) collaborazione nasce la 505/308, costruita in esemplare unico e affidata a Courage.

La vettura si rivela però lenta, pesante e i risultati non arrivano. Purtroppo, il primo dei tragici scherzi che il destino si è divertito a giocare a Frank Williams durante la sua vita è dietro l’angolo. A Zandvoort, Courage esce di strada, la sua vettura si spezza in due, mentre le fiamme divorano macchina e pilota. Niente da fare per l’amico di Frank, che muore in un rogo impossibile da spegnere per diversi minuti.

Ma, come si può intuire, Williams non è certo il tipo che molla. E da qui sarebbe ripartito, per creare uno dei più vasti imperi del motorsport.

Da Jones a Jacques Villeneuve: una storia di campioni

“Io, Frank e Patrick avevamo gli stessi obiettivi, e per questo lavoravamo bene insieme!”. Parola di uno dei piloti più difficili con cui avere a che fare, dentro e fuori dalla pista, Alan Jones. L’australiano, nel 1980, regalò la prima gioia Mondiale alla Williams. “Frank era una gran brava persona, uno per cui era un piacere essere un pilota. Una volta a Watkins Glen, mi lamentai del mio motore, e lui mi rispose: ‘Sarei un idiota se non ascoltassi il mio pilota’. Il giorno dopo, ascoltò i miei suggerimenti e vincemmo la gara. Questo era Frank Williams!”.

Le parole di Jones, in realtà, non si discostano più di tanto da quelle di tanti altri che hanno guidato per Frank Williams, anche se non sono mancati i momenti di tensione con i drivers della scuderia di Grove. Tra questi, impossibile non menzionare i mancati rinnovi di Mansell e Hill dopo i rispettivi Mondiali. In particolare, Frank non ha mai perdonato al figlio d’arte inglese la sconfitta del ’94 contro Schumacher.

E che dire di Jacques Villeneuve, ultimo in ordine di tempo a dargli la soddisfazione di vincere un Mondiale? Chi avrebbe scommesso sul figlio di Gilles, che fino ad allora aveva sì vinto Indy 500 e campionato Indycar, ma da questa parte dell’Atlantico era praticamente uno sconosciuto? Frank ebbe il coraggio di farlo, e i risultati gli diedero ragione, come avvenuto poi, anche se in proporzioni minori, con Juan Pablo Montoya.

Purtroppo, e questo è probabilmente una delle occasioni di rammarico più grandi per tutto il Circus, mancò il tempo per portare alla conquista del titolo Ayrton Senna. La morte del brasiliano, con tutta la sua coda di polemiche, ha gettato spesso un’ombra importante su Frank e sul suo operato. Insieme a quello dei suoi collaboratori, da cui ha fatto fatica a uscirne per diverso tempo.

Insomma, la morte di Frank Williams ci ha privato veramente di una delle ultime figure di un Circus che fu, e che non tornerà mai indietro. Chissà, magari già dal prossimo weekend guarderà i Gran Premi insieme ad Ayrton con le sue immancabili cuffie sulle orecchie!

Rest in Speed, Sir Frank Williams.

Nicola Saglia