IndyCar | Ode a Marco Andretti, l'ultimo di una dinastia
Marco Andretti ha detto basta, ritirandosi definitivamente dall'attività in pista: la "maledizione" di Indy 500 e il peso schiacciante del cognome

Marco Andretti ha annunciato il ritiro dalle competizioni, concludendo di fatto la propria carriera agonistica: la decisione chiude una saga sportivo-familiare lunghissima (soprattutto nel panorama statunitense) e lascia sospesa indefinitamente quella "maledizione Andretti", che dal 1970 aleggia sulla 500 Miglia di Indianapolis.
La dichiarazione
Figlio di Michael Andretti (campione della CART IndyCar Series del 1991) e nipote di "Piedone" Mario Andretti (campione in F1 nel 1978 e detentore di quattro titoli IndyCar), Marco agli albori della carriera si è fatto notare nei campionati Star Mazda e Infiniti Pro Series, oggi noti come USF Pro 2000 e Indy NXT, guadagnando nel 2006 il debutto nella IndyCar Series, una manciata di giorni dopo lo spegnimento delle diciannove candeline.
Andretti ha annunciato il ritiro con una lunga dichiarazione social, in un rituale ormai un po' trito per questo tipo di informazioni:
"Alla mia famiglia, agli amici, ai team, agli sponsor e ai tifosi che mi hanno sinceramente supportato negli ultimi 30 anni negli sport motoristici, voglio ringraziarvi per avermi concesso il privilegio di continuare a coltivare la passione della nostra famiglia in pista. Ho trascorso momenti davvero divertenti al volante di tanti tipi diversi di auto da corsa, e ho anche tanti bei ricordi, soprattutto alla Indy 500".
L'ossessione chiamata Indy 500

Il trentottenne evidenzia più volte la 500 Miglia di Indianapolis nella dichiarazione, rendendo la classica dell'Indiana un tema centrale, quasi ostinato, del suo messaggio di commiato: scrive di aver "avuto sei chance reali di vittoria", un maggior numero di arrivi a podio del padre Michael, gli stessi del nonno Mario, e ricorda il duello proprio con Michael nel 2006, quando il sorpasso sul padre pareva spianare la strada verso la vittoria, portata via all'ultimo da Sam Hornish Jr, in un subdolo dissolversi e ripetersi di quella maledizione che il catino dell'Indiana pare riservare alla famiglia Andretti.
Venti partenze ad Indy 500 lo mettono al dodicesimo posto tra i partecipanti più assidui nella storia del "più grande spettacolo automobilistico al mondo" e probabilmente la sua carriera al volante va letta e valutata attraverso la lente di questa spasmodica sfida al catino dell'Indiana, anche perché, onestamente, il resto non ha molto da raccontare se non il peso di un cognome importante e la sfortuna nell'inseguire vittorie spesso evanescenti, con un palmares nella massima Serie USA a ruote scoperte che lo vede con due successi su 253 partenze.
Difendere la dinastia
Marco ha provato anche la strada della NASCAR e delle corse di durata, giungendo ad un primo ritiro, datato 2021, dall'attività continuativa in pista. Da quel momento, fino ad oggi, il nipote di Piedone ha riservato le uniche bandiere verdi all'ossessione Indy 500, con un disastroso risultato in quella che diventa la gara di addio, un incidente al quarto giro dell'edizione di quest'anno, quella che ha visto anche il padre Michael ormai estromesso dagli organigrammi della creatura Andretti Global.
Andretti ha quindi deciso di concentrarsi sulla figlia, sulle iniziative imprenditoriali al di fuori delle corse e sulla scrittura di libro di memorie intitolato "Defending the Dynasty", nel quale, forse, capiremo come certi cognomi, legati a dinastie automobilistiche troppo grandi e troppo importanti, possano aprire molte porte, ma molto spesso rappresentino un peso che schiaccia.
Luca Colombo