Se ne è parlato tanto, dopo il GP di F1 disputato a Miami. La presentazione dei piloti in stile WWE ha fatto discutere in lungo e in largo, e tanti, a partire dai protagonisti, hanno sparato senza pietà addosso allo show andato in scena in Florida. Ma una domanda, per onestà intellettuale, è giusto farsela: vale la pena perdere tempo a discutere di queste cose? Detta in altri termini: sono questi i veri problemi che affliggono il Circus al giorno d’oggi?

Show artificiale, ma non inedito

Quanto visto a Miami è qualcosa di certamente non usuale per la F1. Chi però ha, e in questi giorni in tanti lo hanno fatto, urlato allo scandalo, ha dimostrato di avere in primo luogo la memoria molto corta. Per vedere una scena simile, infatti, basterebbe riavvolgere il nastro di circa sei anni e spostarsi più a ovest, cambiando Stato, contesto ma non certo Nazione.

All’inizio dell’era Liberty Media, infatti, venne proposto qualcosa di simile a Austin, con lo storico presentatore degli incontri di boxe Michael Buffer, circondato da cheerleaders, a chiamare in pista uno ad uno i piloti, con tanto di “Are you ready to rumble?” finale. Lì per lì il fatto venne aspramente criticato, così come avvenuto in Florida. A ben vedere, però, tutto ciò non stride con lo spettacolo messo in piedi da Liberty intorno ai GP.

Tra vip che si affollano nel paddock, concerti pre e post evento e super ospiti in griglia, la presentazione dei piloti pare in linea con il prodotto. Poi, si può obiettare sullo stile; Will.i.Am che finge di dirigere una pseudo-orchestra ce lo saremmo risparmiati volentieri, ma questi sono gusti. In realtà, l’ingresso dei drivers uno ad uno, un po’ in stile gladiatore dell’arena, prima di essere bocciato, meriterebbe di essere messo alla prova in altri contesti. Immaginiamoci, per esempio, una scena simile a Imola o Monza, magari con i due Ferrari a mostrarsi per ultimi e il pubblico ad acclamarli. Proprio sicuri che saremmo stati qui a criticare la F1 per l’eccessiva tendenza allo show?

Nossignori: la Drivers' Presentation non è il problema del Circus. Anzi, non sarebbe neanche argomento degno di nota, e se anche fosse introdotta regolarmente non ci sarebbe da stupirsi e da rammaricarsi più di tanto. Le magagne sono ben altre, e occorre restare vigili e accendere sempre una luce su di esse, perché è lì dove va ad essere minata la credibilità del motorsport.

Piste e sprint race i veri problemi

In primo luogo: le piste. Inutile negarselo, Miami stessa per certi versi ha rappresentato qualcosa di deprimente, come peraltro già accaduto nella passata stagione. Organizzazione dell’evento a parte, certamente ottima, il layout del tracciato è a dir poco insignificante (come peraltro avevamo già evidenziato nel 2022). È incredibile come siano riusciti a tirar fuori dal nulla una tristezza del genere: possibile non ci fossero alternative migliori?

E il problema esiste anche in altre parti del mondo. Ci siamo tolti dalle… gomme Sochi, ma restano comunque Jeddah, Singapore, Qatar, Abu Dhabi solo per fare alcuni esempi. E il discorso potrebbe anche essere esteso a Baku, seppur con dei dovuti distinguo vista la conformazione unica del tracciato azero. Il problema è sempre quello: inchinarsi al dio denaro porta a correre in tracciati orrendi, in posti che non hanno nessuna tradizione e dove molto spesso le tribune sono semi-vuote, e la particella “semi” è usata per pura pietas.

Da qui si arriva al secondo punto fondamentale. Niente da fare: le sprint race non piacciono a nessuno, non le vorrebbe nessuno in F1, ma Domenicali e Liberty, non lasciano, anzi… quasi raddoppiano! È infatti notizia di questi giorni che l’intenzione è quella di portarle addirittura a dieci nel 2024; in questo modo, le gare (GP o Sprint) che siano, arriverebbero a quota 34. Una cifra francamente insostenibile.

Perciò, attenzione: quando si parla di eccessiva attenzione allo show piuttosto che allo sport propriamente detto, bisogna stare attenti a specificare. Quello della Drivers’ Presentation, o come si chiama, è un falso problema; meglio focalizzarsi su altri aspetti, ben più pregnanti, e che continuano ad essere stravolti in nome di un effetto Netflix che tutto fa meno che il bene della F1.

Nicola Saglia