La gara dello scorso weekend a Miami ha regalato alla Formula Uno una grande visibilità, con tantissimi VIP e celebrità ad affollare paddock e griglia di partenza. Ha lasciato però abbastanza di stucco la situazione in cui i piloti hanno trovato la pista, tra rappezzi dell’ultimo secondo e muretti di cemento in punti pericolosi. A ciò, va sicuramente aggiunto un layout che lascia qualche dubbio nel suo disegno, e che ha dato vita ad una gara abbastanza incolore fino all’ingresso della Safety Car.

Lamentele dei piloti inascoltate

La situazione più complessa e contestata del weekend ha sicuramente riguardato le barriere esterne alle curve 13 e 14, il punto più lento della pista. In questa sezione, nelle sessioni di prove libere sono andati a sbattere con una dinamica pressoché identica Carlos Sainz e Esteban Ocon. Entrambi hanno riportato danni importanti alle rispettive vetture, tanto che il francese non è riuscito a disputare la sessione di qualifiche.

Dopo il botto, Esteban ha riportato una contusione al ginocchio, mentre il telaio dovrà essere riportato a Enstone per essere aggiustato, attraverso un passaggio in autoclave. Nonostante i 130 Km/h registrati al momento dell’impatto, infatti, i G di decelerazione registrati sono stati addirittura 51. “Io sto bene, ma dovremo esaminare il modo di rendere le barriere più sicure. I G che ho subito sono tanti, e la sicurezza deve essere assolutamente una priorità; ho addirittura rotto sedili e pedaliera nell’impatto!”.

Più o meno dello stesso tenore erano state le dichiarazioni di Sainz, e anche Lando Norris si erano unito a coloro che richiedevano il posizionamento delle barriere Tech Pro in quel punto, per attutire eventuali altri urti. Richieste puntualmente respinte dai commissari e dal Direttore di Gara Niels Wittich, nonostante la grande disponibilità di barriere di riserva.

Troppi rappezzi dell’ultimo minuto

Quello che ha colpito e lasciato di stucco i piloti e gli spettatori da casa è sicuramente stata la miriade di rappezzi in tanti settori della pista. Facilmente individuabili per il colore più scuro dell’asfalto, essi sono andati a ricoprire tombini e rugosità lasciate scoperte praticamente fino alla notte del giovedì.

Tutto questo, ovviamente, a discapito del grip, della stabilità delle vetture e, in ultima analisi, della sicurezza dei piloti stessi. Viene da chiedersi con che criterio siano state fatte le ispezioni prima, durante, e dopo i lavori di completamento del tracciato. E gli organizzatori americani facciano un piacere a sé stessi: tra meno di un mese, si facciano una settimana di ferie a Monte Carlo, e prendano appunti su come si allestisce un tracciato cittadino con tutti i crismi.

Yacht e acqua finta, ma dove vogliamo andare a parare?

Spenta la televisione alla fine del GP di Miami, l’appassionato medio si è certamente fatto un paio di domande. In particolare, la sensazione è quella che tutto il cinema montato intorno all’evento, tra Chips a scortare il vincitore (americanata vera) e caschetti da football sul podio, sia servito per distogliere l’attenzione dall’ennesima pista senza anima, un altro catino né carne né pesce.

Ora, il Miami International Autodrome non raggiunge le vette inarrivabili di Sochi o Singapore, ma non si può dire che abbia entusiasmato gli spettatori. Certo, l’ambientazione resta da favola, il jet set e le personalità giunte in Florida regalano alla F.1 un’esposizione mediatica mai vista, ma, per tornare a qualche riga fa, Monaco è un’altra cosa anche in questo.

A pensarci bene, la finta marina e l’acqua di plastica mettono una tristezza infinita; l’ennesima messa in scena a favore di telecamere, che nulla ha a che vedere con le corse. Chi conosce le piste americane, ad ogni giro non ha potuto fare a meno di chiedersi il motivo di costruire un tracciato del genere in un parcheggio, quando negli States si hanno a disposizione fior fiore di piste. Chiaro, la risposta è sempre quella: decidono tutto i Big Money. Per carità, non parliamo di gradi di omologazione FIA, ché viene da mettersi a ridere; Zandvoort e Jeddah hanno vie di fuga neanche lontanamente paragonabili a Road America o Laguna Seca.

I race fans lo sanno, ormai è una battaglia persa, e Miami ne è l’ennesima dimostrazione. Di loro, degli appassionati duri e puri e delle corse vere, all’establishment FIA importa ben poco. Però c’era Will.i.Am nel paddock, sai che… fortuna!

Nicola Saglia