Trent'anni fa il Circus vedeva l'ultima racer sotto contratto nei GP di F1: Giovanna Amati. L'esperienza nel 1992 con la Brabham non può certamente dirsi gloriosa, ma dopo la romana non abbiamo più visto donne con un regolare contratto nei fine settimana di F1. Ripercorriamo velocemente l'epopea dell'Amati con la scuderia inglese e vediamo quanta acqua è passata sotto i ponti in questi trent'anni per le donne pilota nella massima Formula.

Brabham 1992: un disastro inevitabile

La Brabham del 1992 non ha niente in comune con la gloriosa scuderia che nel decennio precedente lottava per il Mondiale. Finanziariamente allo sbando e con una fornitura Judd per il 1992 da pagare, i sedili andranno esclusivamente a piloti con una valigia ben imbottita. Brabham finalizza un contratto con Eric van de Poele senza problemi. Per il secondo volante la scuderia mette gli occhi su Akihiko Nakaya, soprattutto per un contribuito economico stimato in otto milioni di dollari e la potenziale visibilità sul mercato giapponese. Clamorosamente, però, la FIA rigetta la domanda di Super Licenza di Nakaya (campione nel 1988 di F3 giapponese e impegnato da poco nella Formula 3000 locale), adducendo come motivo la poca esperienza di gara. A ridosso delle attività invernali in Brabham hanno un problema bello grosso.

La candidatura della Amati

La disperata ricerca per il secondo pilota, ovviamente alle condizioni di cui sopra, fa emergere il nome di Giovanna Amati. L'italiana ha l'apporto economico necessario, stimato intorno ai tre milioni di dollari. Come donna, la prima in F1 dopo Desire Wilson nel 1980, ha un potenziale mediatico garantito, con la visibilità che ne consegue. La Super Licenza non dovrebbe generare problemi, vista l'esperienza in F3 italiana e la militanza nella Formula 3000 internazionale, seppure poco esaltante. Tutto a posto, dunque: la Amati firma con Brabham.

Tre gare e pochissima gloria

Tutto bene quel che finisce bene? Per niente. Il contratto durerà solo tre GP, a causa di un mancato pagamento da parte degli sponsor. Come se non bastasse, la pilota romana non troverà la qualificazione nei tre appuntamenti di Kyalami, Mexico City ed Interlagos, rimediando in tutti i casi distacchi imbarazzanti dall'autore della pole-position. Possiamo sintetizzare le cause dell'inglorioso passaggio in F1 della nostra portacolori in tre punti, ordinati per importanza crescente. Il primo: un'incredibile sequenza di problemi tecnici, fondamentalmente causati dalla disastrosa situazione della scuderia. Il secondo: non conoscere la monoposto inglese, del resto il team non aveva effettuato test invernali. Il terzo: la Amati viene inserita in un contesto presumibilmente oltre le proprie capacità. Fine della storia, quindi, e una controproducente pubblicità per le racing ladies.

Un club per soli uomini

Dal 1992 in poi il Circus rimane un club per soli uomini. Dopo Giovanna Amati soltanto Susie Wolff ha girato con una Formula 1 in pista durante un fine settimana di gara, nel 2014 e nel 2015. Per le donne pilota, a parte test o trovate pubblicitarie, da trent'anni a questa parte non abbiamo mai visto un contratto da pilota titolare: solo, in epoca recente, accordi da development driver (figura non del tutto chiara nell'organigramma di una scuderia). Forse siamo andati vicini ad un contratto da titolare con Danica Patrick nella USGP per il 2010, ovviamente prendendo per buone le speculazioni su questa scuderia che non ha mai assunto forme concrete.

Quando vedremo la nuova Giovanna Amati in F1?

Quanto dovremo ancora attendere per vedere in pista una pilota con un contratto da titolare? Secondo le dichiarazioni di Stefano Domenicali, questo scenario dovrebbe concretizzarsi in futuro, ma con un orizzonte temporale non definito. Trovare una risposta sembra particolarmente difficile. L'automobilismo sportivo non è esattamente il più economico tra gli sport praticabili. Generalmente parlando, considerando il professionismo e gli investimenti necessari, nell'ascesa di un pilota verso la massima Formula contano il talento e, nella stessa proporzione, la capacità di tessere le giuste relazioni al momento giusto. Relazioni che poi portano ad avere le spalle coperte dal punto di vista finanziario nel processo di crescita.

La W-Series che non apre porte

Fondamentalmente il problema principale va individuato nella congiuntura economica che gira attorno al Circus, la quale pare ancora non avere nei radar una pilota. Una possibile soluzione per guadagnare esposizione (in prospettiva di carriera in monoposto) avrebbe dovuto essere la W-Series. Usiamo il condizionale, perché alla vigilia della terza stagione e con il campionato a supporto delle gare di F1, gli sbocchi professionali offerti sembrano essere nulli. Jamie Chadwick rappresenta un caso emblematico: due volte campionessa in W-Series e con un numero a doppia cifra di punti sulla Super Licenza, rimane ancora sospesa in un limbo che non apre porte. Non in F3, non in F2 e tantomeno in F1, nonostante gli anni nell'organico Williams.

Sempre una questione di soldi

Al di fuori del Circus, la situazione sembra migliore, anche se non ottimale. Sicuramente il mondo delle ruote coperte offre maggiori opportunità in questo senso, mentre in IndyCar Tatiana Calderon ha firmato con AJ Foyt per le corse non in ovale. Il mondo delle ruote coperte rappresenta un universo a parte, ma la massima Serie di monoposto negli USA ci ha insegnato, nel corso degli ultimi anni, come le sponsorizzazioni verso le donne pilota non vadano incontro tanto al merito, quando al potenziale prodotto di marketing. La parabola sportiva di Danica Patrick, compresi i set di Sports Illustrated, da un'idea più tangibile di questa situazione.

Con tutta probabilità, proprio quest'ultimo rimane lo scoglio da superare per vedere una donna di nuovo alla guida, in pianta stabile, di una F1 dopo l'esperienza di Giovanna Amati nel 1992. Probabilmente le iniziative come FIA Girls On Track vengono di più in aiuto nella risoluzione di questa problematica rispetto alla ghettizzante W-Series. La Formula 1 ha abbracciato la causa dell'inclusività e quella di vedere una donna alla guida di una monoposto deve rappresentare un risultato da perseguire, se effettivamente quella dell'inclusività non sia una presa di posizione di facciata. Imporre qualcosa (ad esempio la presenza di una cosiddetta "quota") di sicuro non è la via da percorrere e la strada delle pari opportunità al volante sembra essere ancora lunga.

Luca Colombo