Il 2 maggio 1982, a Zolder, si spegneva Gilles Villeneuve. Tra l'incidente fatale al canadese ed oggi contiamo trentotto anni ed una generazione di tifosi, ormai entrati in età adulta, che non ha mai visto guidare Gilles "in presa diretta".

La ricerca dell'alchimia

Personalmente, facendo parte di questa generazione, ho sempre dovuto rincorrere l'alchimia legata alla figura di Gilles Villeneuve. Nel mondo della F1, così legato ai risultati, sono sempre rimasto affascinato da come il canadese (che oggettivamente ha vinto poco) sia stato in grado di entrare nella memoria collettiva in dosi così massiccie.

Quando ho chiesto lumi a chi l'ha visto correre, ho sempre ricevuto due risposte identiche.

La prima: Gilles era coraggioso e spettacolare. Effettivamente basta pensare al duello di Digione con Arnoux o a quella famosissima foto di Ercole Colombo, che ritrae il canadese in controsterzo e che da sola incapsula quasi tutti i motivi per cui amiamo questo sport.

La seconda: Gilles è stato unico nella storia della Formula 1. A parte Clay Regazzoni, sui radar storici non si segnala nulla di simile al canadese. Su questa affermazione ci dobbiamo fidare, soprattutto in forza di quanto aveva scritto Enzo Ferrari proprio sul canadese nel libro "Piloti, che gente": "Io gli volevo bene".

Le parole di Forghieri

Del canadese, Mauro Forghieri disse: "Gilles era una forza della natura, ma era un puro, non sarebbe mai diventato campione del mondo perché per lui esisteva solo la gara che stava facendo, anche a costo di morire".

Percorrendo a ritroso la parabola agonistica l'analisi di Forghieri è, purtroppo, perfetta. La vittoria a Montecarlo con il turbo, le partenze a Zandvoort e lo screzio con Pironi a Imola fanno parte di questo quadro. Al quale, purtroppo, si affianca l'incomprensione con Mass a Zolder.

Forse la chiave dell'alchimia tra Gilles e i tifosi è propio in questi semplici concetti: l'avere dato tutto, in ogni gara.

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Luca Colombo