Era fatale, dopo la pesante sconfitta in Ungheria, che Mattia Binotto finisse per l’ennesima volta sulla graticola. Diciamocelo chiaramente: l’ingegnere di Selvapiana non è mai entrato nel cuore dei Tifosi (spesso ingenerosi), come avevano invece fatto molti dei suoi predecessori, e i continui errori del muretto lo rendono sempre meno ben visto. Logico che lui faccia da parafulmine, anche se è altrettanto ovvio che le responsabilità non possono, e non devono essere tutte sue.

E così, da un paio di giorni #binottoout spopola in tutti i social sui forum degli appassionati di motorsport di tutto il mondo. C’era da aspettarselo: quel mondo è totalmente privo di pietà per chi sbaglia, soprattutto se persevera. Ma allora, facciamo un ragionamento per una volta costruttivo: chi sarebbe il profilo ideale al posto di Mattia Binotto?

Uno sgabello ambito, ma difficile

La postazione del Team Principal di Maranello sul muretto box è certamente una delle più ambite del Circus. Il blasone del Cavallino è innegabile, così come il suo fascino, e se chi vi è seduto è in grado di portare il team alla vittoria, per lui si apre una vera e propria autostrada per la gloria. Attenzione, però: come Binotto può testimoniare, si tratta della postazione più traballante e sotto attacco di tutto il paddock senza ombra di dubbio! E chi è che è disposto ad essere così costantemente sotto pressione?

Durante l’inverno, una volta scaduto il suo mandato da Presidente FIA, si è andati vicini ad un clamoroso ritorno in quel di Maranello. Infatti, pareva cosa fatta per Jean Todt, uno degli artefici dei successi degli anni d’oro targati Schumacher. Il francese avrebbe affiancato Binotto, senza prenderne il posto, avendo un ruolo per certi versi paragonabile a quello che il compianto Lauda aveva a fianco di Wolff in Mercedes. L’affare non è andato in porto. Anche se non ci sono state dichiarazioni particolari, in più di una voce ha sussurrato come a Mattia non facesse certo piacere lavorare con a fianco l’ombra di quello che a Maranello è praticamente un semi-dio.

Coletta e Adamo, gli “outsiders” di lusso

Nello scenario di un eventuale addio di Binotto (sottolineiamo ancora una volta che il nostro è un mero esercizio, un’esplorazione di eventuali possibilità), chi sarebbero i profili papabili a prendere il suo posto? Partiamo da quelli al momento fuori dal Circus. Il primo che viene in mente, in realtà, è proprio un uomo Ferrari, cioè Antonello Coletta.  Proprio lui, il capo delle Attività Sportive GT del Cavallino, l’artefice dei successi della passata stagione (la più vincente della storia in quel settore), e del programma Hypercar che riporterà il team a competere per l’Assoluta di Le Mans.

Tanti i pro: innanzitutto, stiamo parlando di un uomo di assoluti valore e esperienza. In secondo luogo, essendo già in organico a Maranello, sa perfettamente a cosa andrebbe incontro, e avrebbe tutte le conoscenze per poter dare una scossa all’ambiente.

Guardando fuori dal “giro”, e volgendo gli occhi verso un disoccupato di lusso, ci si imbatte in un altro nome dal peso specifico particolarmente elevato: Andrea Adamo. Il manager piemontese si è dimesso dal ruolo di Responsabile dei Programmi Sportivi Hyunday nel gennaio 2021, dopo essere stato per sei anni l’artefice della rinascita del marchio coreano. Uomo di grandissima esperienza maturata tra pista e rally, ha dalla sua un carattere forte, che non guarda in faccia a nessuno, proprio quello che ci vorrebbe in un momento come quello che sta vivendo ora la Ferrari.

E nel Circus, chi potrebbe essere un’opzione?

Già, in Formula 1, al giorno d’oggi, chi avrebbe le carte in regola per sedersi dietro al timone della Rossa? Il primo nome che viene in mente è quello di un altro italiano, che oggi è Team Principal in Haas. Proprio lui, Guenther Steiner, divenuto suo malgrado una star grazie alle sfuriate immortalate in Drive to Survive. Il meranese ha tutte le carte in regola, un carattere duro, ma anche la capacità di analizzare la realtà e tornare sui propri passi senza guardare troppo al passato, come successo nel richiamo di Magnussen al volante dopo il caos russo e l’appiedamento di Mazepin.

Oltre a Steiner, però, ci sarebbe un altro profilo da tenere d’occhio, e questa volta bisogna andare in casa McLaren per trovarlo. Andreas Seidl, ingegnere tedesco, è stato l’uomo su cui ha puntato Zak Brown per il proprio progetto, e il manager americano ha vinto la propria scommessa. Tanto da lasciargli totalmente il comando delle operazioni, conscio delle capacità del bavarese. Successi in DTM, WEC e Formula E, dal 2019 si è dedicato al team di Woking, ed è tra gli artefici del suo rilancio nel Circus. Insomma, uno da tenere d’occhio.

Infine, perché non Jost Capito? Attualmente in Williams, di cui è anche CEO, il tedesco dal 2012 al 2015 è stato il Grande Condottiero dell’armata Volkswagen nei rally, prima di passare alla McLaren. Uomo dal profilo basso, ma che è capace di avere le intuizioni giuste al momento giusto, come fu quella di strappare Ogier alla Citroen dell’epoca. Attualmente impegnato nella ricostruzione del team di Grove, ma chissà, una chiamata di Maranello potrebbe cambiare le carte in tavola.

Per ora, Mattia può stare tranquillo

In ogni caso, al momento la posizione di Binotto sembra essere tranquilla, nessuno del top management Ferrari si è mai espresso con parole preoccupanti per lui. Ma d’altronde, quando mai hanno parlato, Elkhann o Vigna? Il futuro resta un’incognita, ma è comunque chiaro che la sconfitta di quest’anno deve far riflettere.

Infine, un appello alla calma va fatto. Fino alla primavera scorsa, Binotto sembrava essere l’uomo che aveva risollevato la Rossa, dopo anni di sberleffi e di “Dobbiamo capire”. Ma, si sa, passare da eroe a zimbello del paese è un attimo in questo mondo, e sono molteplici gli esempi in merito in tutto il mondo sportivo. Un esempio su tutti, quello di Stefano Pioli, allenatore del Milan Campione d’Italia passato in meno di due anni da #pioliout a #pioliisonfire.

Insomma, le alternative ci sono, anche se forse non così immediate. Forse, però, prima di chiedere la testa dell’allenatore, bisogna veramente capire cosa non gira nella squadra, e cosa ha fatto inceppare i meccanismi di un team che fino al sabato di Monte Carlo sembrava essere tornato ai fasti di tempi da troppo ormai passati.

Nicola Saglia