Il 20 Aprile del 2008 Danica Patrick vinceva la sua prima ed unica gara in IndyCar, sull'ovale di Motegi in Giappone. A quindici anni di distanza cos'è rimasto della vittoria di Danica?

Ricucitura storica

Quel fine settimana rappresentava una data molto importante per l'automobilismo americano. Avveniva infatti un'importante ricucitura di uno strappo lungo dodici anni, passato alla storia come "The Split". Negli USA dal 1996 hanno convissuto due campionati maggiori a ruote scoperte, originariamente CART e IRL. Nei primi mesi del 2008 la Indy Racing League acquisisce la Champ Car, in bancarotta, per convergere in un solo campionato, la IndyCar Series.

Prima che l'armonia torni a regnare sovrana, i contratti già sottoscritti dalle due entità sovrapponevano gli appuntamenti a Motegi (IRL) e a Long Beach (Champ Car) proprio il 20 Aprile. Non potendo sciogliere o modificare gli accordi in essere, nello stesso fine settimana venivano disputate due gare valide per lo stesso campionato, separate dall'Oceano Pacifico.

In Giappone andava in onda il futuro della serie, mentre in California scorrono i titoli di coda del campionato Champ Car, in parte sotto gli occhi del personale IRL che aveva preso il primo volo disponibile verso gli USA dopo la gara di Motegi.

Indy Japan 300

L'Indy Japan 300 era il terzo round stagionale, il primo fuori dagli USA. La gara aveva luogo sul Twin Ring Motegi, impianto di proprietà Honda, che per l'occasione schierava un'avveniristica safety-car alimentata a idrogeno.

L'ovale presenta la classica distanza da un miglio e mezzo, con l'angolo di banking che non va oltre i 10°. Le prime due curve sono ampie, da affrontare a tutto gas, e le ultime due sono strette, da affrontare sollevando il piede dall'acceleratore. La particolare geometria simmetrica dell'ovale ispirava Scott Goodyear nella diretta ESPN, che definiva il Twin Ring "a forma di graffetta".

La forte pioggia abbattuta su Motegi portava alla cancellazione delle qualifiche, con la griglia definita sulla classifica di campionato. Per disputare la gara il personale giapponese aveva messo in campo, tra sabato e domenica, dei macchinari particolari per asciugare la sede stradale da circa 10000 galloni d'acqua. Pista scivolosa e temperature più basse del previsto: andavano completamente ridefiniti gli assetti, al buio e senza prove.

L'azzardo di Danica

La gara, in retrospettiva, non racconta nulla di particolare, con un duello strategico che vede protagonisti Helio Castroneves, Scott Dixon e Dan Wheldon, i quali coprono in testa gran parte della trecento miglia. Danica Patrick, che nella prima fase di gara sta correndo in maniera piuttosto anonima attorno alla sesta posizione con una vettura non perfettamente bilanciata, sfalsa i giri di ingresso ai box rispetto al trend imposto dai battistrada. Le bandiere gialle vanno incontro a Danica e al team Andretti, che rimangono nel gruppo di testa. All'ultimo restart, la Patrick rallenta vistosamente per risparmiare carburante: perde terreno, ma rimane nel giro del leader.

Negli ultimi dieci giri la gestione della benzina e gli splash-and-go dei primi lasciano Castroneves e Danica a giocarsi la vittoria. A tre giri dal termine, è il brasiliano che deve gestire i consumi: la Patrick passa agevolmente in testa e apre il gap su Helio, transitando per prima sotto la bandiera a scacchi.

History made?

Danica Sue Patrick da Beloit, Wisconsin, diventava così la prima donna a vincere una gara della maggiore serie a ruote scoperte americana. L'inviato ESPN in pit-lane agganciava Danica chiedendo una data per il bis: "nel prossimo fine settimana di gara" risponde l'americana. L'impresa della Patrick, tuttavia, rimarrà un oggetto a se stante, senza un prima e senza un dopo. Un risultato a sorpresa, potremmo dire con il senno di poi.

Danica corre per otto anni nell'IndyCar, per un totale di 116 gare. In quest'arco di tempo mette assieme una vittoria, sette conclusioni a podio e tre pole position. Un quinto posto in classifica come migliore piazzamento in campionato e il titolo di Rookie of the Year nel 2005 consolidano le statistiche.

Pur non essendo valori entusiasmanti, Danica viene eletta most popular driver consecutivamente dal 2005 al 2010. Nonostante il curriculum sia migliore di quanto fatto da Janet Guthrie o Lynn St James nel passato della Serie, Danica non lascia alle future generazioni di donne da corsa la stessa eredità.

Femminilità accentuata

Nel 2017, Henry Hutton, sull'Independent Tribune, e Andrew Lawrence, sul The Guardian, hanno delineato la carriera di Danica, da quando ha fatto l'ingresso in IndyCar nel 2005, convergendo sulla stessa tesi. La Patrick è diventata rapidamente un'icona della cultura pop, in gran parte perché donna e per l'attività da modella, ma il profilo pilota è andato via via disgregandosi a causa di problemi con la macchina, incidenti in pista e mancanza di competitività.

Effettivamente risulta difficile scindere la carriera della Patrick dai set di Sports Illustrated o dagli spot ammiccanti per godaddy.com, nella stessa maniera in cui non possiamo scindere il nome di Pastor Maldonado in F1 con gli incidenti. Sicura della propria femminilità e dei propri mezzi (nella quarta di copertina di "Danica Patrick: America's hottest racer" il virgolettato riporta: "Voglio che la gente dica 'sei un gran pilota', non 'sei una gran pilota donna', lo so di essere la ragazza migliore") Danica entra, trova terreno fertile e sfonda in una IRL ancora acerba, in cerca di un'identità e disperatamente affamata di personaggi che, per qualsiasi motivo, potessero catturare l'attenzione.

Cosa rimane?

La strada intrapresa dall'americana nel promuovere la propria carriera nell'IndyCar può avere innalzato una barriera nel processo di crescita di altre donne pilota nel motorsport, che non spingono su un'attività da modella come mezzo, appunto, promozionale? Forse sì. Possiamo stigmatizzare questo comportamento? Fino ad un certo punto.

Nel costoso ambito del motorsport un pilota ha bisogno di talento e commitment, ma l'avere le "spalle coperte" dal punto di vista finanziario e il saper bussare alle porte giuste nei momenti giusti possono fare la differenza nell'ascesa dai go-kart alle Serie maggiori. Effettivamente Danica ha trovato la via migliore per "vendere" la propria figura professionale. Se dovessimo intavolare un discorso serio sul tema dell'inclusività, per i piloti nelle gare a ruote scoperte, dovremmo partire proprio da questo punto di vista.

Oggi, quindici anni dopo, Danica Patrick non gareggia più. Porta avanti molteplici attività come imprenditrice e a parte qualche ospitata come insider nelle gare americane di F1 o Indy 500, non gira più nel mondo dell'automobilismo. Il mondo, non solo quello delle corse, è molto cambiato dal 20 Aprile 2008 e della vittoria di Danica rimane un ricordo sfocato nei contorni, per quanto l'evento avrebbe potuto e dovuto avere una portata storica.

Luca Colombo