I fenomeni fisici richiedono in molti casi lo studio e l’analisi di grandezze caratteristiche che variano nel tempo in modo diretto o derivato. La matematica che descrive molti di questi fenomeni è quella delle equazioni differenziali alle derivate parziali, tuttavia risolvibili in maniera esatta solo in un numero ristretto di casi ideali. In natura, quando si applicano queste equazioni a domini complessi come superfici o volumi, avere una soluzione esatta risulta impossibile a causa del numero infinito di incognite del problema. Ma cosa succede se superfici e volumi vengono suddivise in una quantità enorme, ma finita, di “pezzettini” di superficie/volume e su di essi le equazioni vengono risolte non esattamente, ma con un'approssimazione sufficiente a soddisfare gli scopi del calcolo?

L’analisi ad elementi finiti

Questo metodo prende il nome di “analisi a elementi finiti”, ed è la base di tutti i codici per il calcolo automatico con soluzione approssimata di equazioni alle derivate parziali corrispondenti alla descrizione fisica di fenomeni riguardanti un dominio esteso (ossia superfici e volumi). Questo metodo si basa: 1 - sulla “discretizzazione”, ossia la suddivisione del dominio su cui si vuole indagare il fenomeno in n-elementi di superficie bidimensionali o poliedri; 2 - sulla soluzione delle n-equazioni corrispondenti; 3 – sull’armonizzazione delle n-soluzioni discrete in un processo iterativo grazie all'imposizione di condizioni di congruenza e continuità alle stesse; ovvero le variabili oggetto dello studio si evolvono pezzetto per pezzetto in modo coerente, senza discontinuità, rispettando le condizioni imposte dai dati del problema di cui si è a conoscenza.

Il metodo ha applicazione in tutti i campi della simulazione ingegneristica: si pensi ad esempio al CFD (Fluidodinamica Computazionale) in cui il moto di un fluido viene semplificato e le equazioni risolte tramite algoritmi e analisi computerizzate, o all'ottimizzazione strutturale e topologica con cui è possibile, in combinazione con le moderne tecniche di stampa 3D, l'ottenimento di particolari con doti di resistenza, leggerezza e uso del materiale costitutivo sempre più spinte al limite.

Una applicazione insolita, ancorchè appropriata e foriera di utili insegnamenti, di tale tecnica è quella dispiegata dalla FIA e dalla Toyota per comprendere le sollecitazioni e i possibili danni cui può essere sottoposta la colonna vertebrale di un pilota a seguito di incidenti in gara, oltre alle possibili soluzioni per mitigare tali conseguenze. Lo studio prende le mosse dall'incidente che ha visto coinvolta la Toyota TS030 di Anthony Davidson durante la 24h di Le Mans del 2012.

Un corpo umano…a elementi finiti!

L´impressionante incidente di Davidson durante la maratone della Sarthe 2012, di cui riportiamo qui il video, ha comportato la fine della stagione per il pilota britannico, che nell'impatto contro la barriera di gomme in fondo al rettilineo di Mulsanne riportava la frattura delle vertebre toraciche 11 e 12, situate appena al disopra della transizione tra il tratto toracico e il tratto lombare. Un danno simile era stato riportato da Guillaume Moreau durante i test per la 24h francese dello stesso anno a seguito di un urto frontale in una LMP2, così l'evenienza in gara costituiva un campanello d´allarme che non era possibile ignorare. L'investigazione di tali impatti con i manichini da crash test, i famosi “dummies”, è molto approssimativa per via della difficoltà di riprodurre la corretta articolazione della colonna; pertanto l'indagine condotta congiuntamente da FIA e Toyota Motor Corp. si è basata sull'uso del THUMS (Total Human Model for Safety), un modello ad elementi finiti dell'intero corpo umano. Modelli automatici per lo studio degli impatti diversi da THUMS non producono gli stessi risultati per la previsione dei meccanismi di danno spinale poiché, sebbene utili per la previsione dei carichi e della cinematica del corpo nell'impatto, sono vincolati ai riscontri ottenuti con i dummies per quanto concerne le tensioni in gioco.

Il primo passaggio della ricerca è stato quello di creare due modelli FEM (Finite Element Method) di guidatore con misure diverse tra loro, con i relativi sedili modellati sugli stessi. La scansione fisica dei due piloti usati a modello, Anthony Davidson e Alexander Wurz, in posizione seduta nel cockpit, è servita a determinare la posizione iniziale della colonna. Successivamente, il modello è stato completato inserendo il THUMS di ciascun pilota in un ambiente di simulazione anch'esso a elementi finiti comprendente sedile, supporto per la testa, cinture, casco, HANS, sterzo e pedali. Le simulazioni hanno riguardato decelerazioni longitudinali impulsive intorno ai 70G, dell'ordine di quelle impiegate per omologare cinture e HANS, protratte per una durata complessiva di 150 msec. A causa dell’alto numero di poliedri (dell’ordine dei 2 milioni) impiegati per ricreare lo scenario, si sono resi necessari tempi di calcolo di circa 24 ore per ottenere l’output di ciascuna simulazione, ossia il risultato che mostrasse moti e forze subite dagli organi interni e dallo scheletro con particolare attenzione sulla colonna, per la quale sono stati misurati lo sforzo assiale, il momento flettente e la loro ripartizione tra le vertebre.

La simulazione ha prodotto sul FEM di Davidson fratture delle vertebre toraciche 11 e 12, in pieno accordo con il caso reale. Nel caso del pilota più alto, ad esse la simulazione aggiunge esiti di fratture nelle vertebre lombari 1, 2 e 3.

Il meccanismo di produzione delle fratture è evidenziato dalla simulazione del moto del corpo nell'impatto: i punti di attacco bassi delle cinture di sicurezza tendono ad ancorare la zona pelvica mentre l´inerzia fa spostare in avanti e verso il basso il torace, cosa che provoca un innalzamento del bacino e un conseguente sforzo sulla colonna principalmente a flessione. Così inflessa, la colonna subisce un la forte compressione dovuto alla forza di reazione delle cinture superiori che, opponendosi al moto del torace attraverso i punti di contatto dello sterno, spingono la colonna verso il basso. In questa maniera, nella parte anteriore delle vertebre toraciche terminali si sommano massima flessione e compressione deviate, portando alle fratture riscontrati anche in realtà. Risulta evidente dai risultati ottenuti che se si riuscisse a mantenere la colonna allineata prevenendo maggiormente il movimento del torace, si potrebbe con ogni probabilità superare l´impatto senza rotture.

Per effettuare una verifica in tal senso, e dare quindi spazio alla seconda parte dell’analisi che si prefiggeva la prevenzione di tali lesioni, sono stati impiegati i seguenti parametri: 1 - maggiore libertà di movimento in avanti nella zona pelvica, ottenuta attraverso la variazione dell´ angolazione delle cinture inferiori spostando i punti di ancoraggio; 2 - angolazione dello schienale; 3 - forma e geometria delle cinture superiori;

Traendo le conclusioni al termine del test, i tecnici hanno appurato che i migliori risultati sono stati ottenuti con un angolo per lo schienale di 55 gradi, un andamento orizzontale delle cinture superiori dalla spalla all'ancoraggio, se possibile un ancoraggio delle cinture pelviche rivolto in avanti e l´impiego di imbottiture. In questi casi non si sono verificate fratture e la riduzione delle sollecitazioni sulla colonna è stata significativa, tanto da determinare modifiche regolamentari che verranno recepite a partire dal 2020.

Lo sviluppo del modello THUMS a elementi finiti ha richiesto un impegno ventennale, cui il motorsport fornisce pochi ma dettagliati casi per la validazione, e i cui benefici si vedranno auspicabilmente sulle statistiche degli incidenti stradali nei prossimi anni. Già in passato infatti è stata evidenziata la correlazione tra i danni alla colonna e gli impatti frontali negli incidenti stradali, e anche se in ambito sportivo tale casistica è meno abbondante, la correlazione appare ugualmente rilevante e i miglioramenti in tal senso saranno a beneficio bilaterale.

Yellow Flag Talks - A cura di Fausto Cedros

Fonti: - Articolo di Peter Wright, presidente della “FIA Safety commission”, apparso sulla rivista ufficiale FIA “AUTO+ Medical” e su Racecar Engineering, intitolato "Toyota´s spinal injury research using human simulation software". - Paper SAE (2017-01-1432) di Katsuhara/Takahira/Hayashi/Kitagawa/Yasuki, intitolato “Analisys of Driver Kinematics and Lower Thoracic Spine Injury in World Endurance Championship Racecars During Frontal Impacts”