WRC | Attilio Bettega, da Molveno alla leggenda in controsterzo
La troppo breve carriera del pilota trentino merita di essere ricordata sempre, ma soprattutto oggi a quarant'anni dalla sua scomparsa.

C’è stato un tempo in cui i piloti, quelli di rally in particolare, erano gente come noi. Con la benzina, la velocità e i traversi nel sangue, pronti a esaltarsi per un freno a mano tirato nel nulla o un salto nel vuoto a vita persa. Roba da niente, roba da matti, per gli altri; la vita, per noi e per loro. Attilio Bettega, una delle stelle italiane più luminose del firmamento del rally, era uno di noi. Capace di fare cose, si capisce, che i più dei noi non saranno mai in grado nemmeno di immaginare.
L’erede designato del “Drago”
Molveno, Cavarzere, Bassano del Grappa: tre luoghi che, per gli appassionati di rally italiani, hanno lo stesso valore che Modena può avere per i tifosi del Cavallino. Perché hanno tenuto a battesimo i tre più illustri rappresentanti, tra mille altri, del mondo del traverso tricolore. Il più grande di tutti è stato senza dubbio Sandro Munari, inutile stare a discutere. Quando Attilio Bettega da Molveno si affacciò sulla scena, però, la caccia al successore del Drago, ormai sulla via del ritiro anche se per nulla appagato dai successi ottenuti, era aperta.
Schivo, riservato e molto introverso, Attilio apparteneva ad una famiglia di albergatori del paese trentino alle pendici del Gruppo del Brenta con la velocità nel sangue. Con la Fiat 128 Coupè prese parte al primo rally in carriera sulle strade (più o meno, considerando tutto) di casa, al San Martino di Castrozza, terminando 42° assoluto. Non un grande risultato, certo, anche se va detto che all’epoca già finire la prima gara in carriera era una vittoria. Ma tanto bastò: da lì, l’inizio di una carriera tutto sommato breve, ma splendente.
Soprattutto, a mano a mano che il tempo passava, in più di uno degli addetti ai lavori iniziò a farsi largo l’idea che, dopo tutto, Munari potesse lasciare lo scettro a quel giovane trentino taciturno, ma dal piede destro pesantissimo. Il ’77 fu l’anno decisivo, con la vittoria del Trofeo A112 Abarth 70 HP. Il premio fu qualcosa di eccezionale: l’iscrizione al Rally della Val d’Aosta al volante della Lancia Stratos Alitalia, la più bella di sempre, a fianco proprio del Drago. Bettega, in coppia con la moglie Isabella Torghele, aggredì le prove speciali senza alcun timore reverenziale, finendo per pochissimo alle spalle di Munari, all’ultimo hurrà di una carriera strepitosa e mai abbastanza celebrata ai giorni nostri.
Un anno più tardi, ancora il rally valdostano fu fondamentale per la carriera di Attilio, perché qui per la prima volta prese il volante della Fiat 131 Abarth, ma soprattutto per la prima volta divise l’abitacolo con Maurizio “Icio” Perissinot, dando il là ad un binomio destinato a restare, per certi versi anche in modo tragico, nella storia.
Quel sinistro presagio
Il 1979 segnò l’ingresso di Bettega nello squadrone ufficiale Fiat, con diverse partecipazioni iridate alternandosi alla guida di 131 Gruppo 4 e Ritmo Gruppo2. Con la prima arrivarono vittorie importanti al Costa Smeralda e 4 Regioni, oltre al prestigioso terzo posto al Sanremo.

Vetture, queste, che però nel giro di poco tempo dimostrarono la propria obsolescenza, dovendo lasciare il posto nel 1982 ad una delle macchine da corsa più rivoluzionarie e conosciute di sempre: la Lancia 037, di cui abbiamo parlato qui, che riportò dunque il rally nei piani della Casa di Chivasso.
Il debutto avvenne al Tour de Corse ’82, e qui Bettega subì il primo incidente serio della carriera, quasi un oscuro presagio di quello che sarebbe avvenuto di lì a tre anni. Alla fine della prima tappa, nei pressi di Salvereccio, andò a sbattere contro un muretto, fratturandosi entrambe le gambe. La prova non fu interrotta, e Attilio dovette attendere per più di mezz’ora intrappolato nei rottami del suo bolide, già veloce ma con diversi aspetti da migliorare in chiave sicurezza.
Trasportato in elicottero direttamente al CTO di Torino, subì diverse operazioni che gli evitarono amputazioni, ma per tornare a correre dovette attendere un anno esatto. Nel 1983, fu di nuovo il Tour de Corse, una gara entratagli nel sangue, a tenere a battesimo il suo rientro alle gare, con un ottimo quarto posto alle spalle di compagni di squadra che hanno nomi che solo a leggerli fanno tremare le vene ai polsi: Marku Alen, Walter Rohrl e Adartico Vudafieri.
La fine, proprio sul più bello
Il 1985 avrebbe dovuto essere il suo anno. Addirittura, il programma per lui era doppio: Mondiale ed Europeo, e al suo fianco si sarebbero alternati Sergio Cresto, italiano di New York, e Icio Perissinot, ovviamente con la 037 sotto al sedere, in attesa di capire il vero potenziale del nuovo mostro che stava ruggendo da tempo sulla pista di prova della Mandria: la Delta S4. Ma quel maledetto 2 maggio cambiò tutto, per sempre, peraltro non esaurendo il suo tributo di sangue a quella singola occasione, ma cambiando il volto del mondo dei rally un anno più tardi.
Al Tour de Corse Bettega partiva con i favori del pronostico. Ma nelle prime speciali si trovava secondo alle spalle dell’indiavolata Renault 5 di Ragnotti, mentre dietro di lui scalpitava la giovane leva del rallismo italiano, Miki Biasion. Alle 10:45 partì la prova di Zerubia-Santa Giulia: 30 km di curve, dirupi e alberi. Dopo un chilometro circa si affrontava un breve rettifilo dopo una veloce destra. Difficile capire cosa successe: pneumatici freddi, un avvallamento, qualcuno ha anche parlato di malore del pilota. Fatto sta che la 037 sbandò, finendo la sua corsa tremendamente accartocciata contro un albero. Icio Perissinot non ebbe neanche il coraggio di guardare alla sua sinistra, prima di scendere dalla macchina sotto choc: sapeva benissimo che per Attilio Bettega non c’era più nulla da fare, e che la sua carriera da navigatore sarebbe finita in quel momento, benché illeso.
Molveno è un grazioso villaggio che si affaccia sull’omonimo laghetto, ai piedi della catena delle Dolomiti di Brenta, meta privilegiata di famiglie e amanti del trekking d’alta quota. C’è una chiesetta, in mezzo al paese, con un piccolo cimitero in stile tipicamente alpino. Entrandovi, una delle sepolture richiama subito l’attenzione, perché la sua lapide ha una forma strana, difficile da intuire al primo colpo d’occhio. Ma poi si legge il nome, e tutto diventa chiaro. La forma è quella della Corsica, e quel viso sorridente benché riservato che sovrasta una tuta Martini appartiene all’eroe locale: Attilio Bettega.

Di lui si dice che fosse imbattibile soprattutto in discesa e sugli sterrati: la realtà è che le doti velocistiche di Bettega erano di gran lunga sopra una media che allora era elevatissima. La sua immagine è rimasta quella di un tempo: un corridore, come si diceva ai tempi, senza tanti fronzoli. Insomma, uno di noi.
Nicola Saglia