Arturo Merzario è il simbolo vivente di un modo di vivere e intendere l’automobilismo che ha caratterizzato gli anni eroici di questo sport. Una carriera unica, infinita, che ha spaziato tra formule, turismo, GT, salite, senza dimenticare gare mitiche come la Targa Florio. Soprannominato Fantino (anche) per le sue misure “extra-small”, ha avuto modo di farsi conoscere anche come opinionista schietto e sincero, e ancora oggi è una delle figure più rispettate del motorsport di casa nostra.

Alfa e Abarth nel cuore

La carriera di Merzario è lunga, complessa, ricca di vittorie esaltanti e allo stesso di rocambolesche sconfitte. Tutti eventi che hanno contribuito a creare la leggenda del Fantino; personaggio unico, oltre che pilota e collaudatore sopraffino.

Sono tanti i marchi a cui Arturo ha legato il proprio nome, ma ce ne sono un paio che gli sono, parole sue, "rimasti nel cuore": Alfa Romeo e Abarth. Con il biscione esordisce nelle corse in salita e nelle gare in pista, in particolare a Monza, all’inizio degli anni ’60. Da lì, ecco iniziare la grande storia di Merzario specialista delle gare prototipi, ingaggiato nel ’67 da Abarth prima come collaudatore e poi come pilota ufficiale.

Nel ’69, la prima grande svolta della carriera, con la vittoria al Circuito del Mugello, sul vecchio tracciato stradale, alla guida della barchetta Fiat Abarth 2000. Da lì, l’inizio di una catena di risultati che gli apriranno, nel 1970, le porte di Maranello, garantendogli l’ingaggio nel Mondiale Marche.

Dalla Ferrari alla… Formula 1

L’approdo in Ferrari garantisce a Merzario la possibilità di disputare il Campionato Mondiale Marche alla guida della 512S ufficiale, andando a vincere al Mugello per la seconda volta consecutiva. Il ’72 sarà l’anno della consacrazione, con la vittoria alla Targa Florio e alla 1000 km di Spa, in coppia con due mostri sacri come Sandro Munari in Sicilia e Brian Redman in Belgio.

Dello stesso anno è il suo debutto in Formula 1, sempre con il Cavallino, e con i primi punti conquistati a Brands Hatch. La storia con Ferrari, però, si interrompe bruscamente ad inizio ’74, quando il Drake gli offre di prendere parte ad una serie limitata di gare tra F.1 e prototipi. Merzario, non certo noto per il suo carattere facile, rifiuta, e da lì inizia il suo pellegrinaggio tra diverse scuderie, prima di chiudere la carriera nel ’79 costruendosi una macchina e un team in proprio.

I risultati nel Circus non sono certo paragonabili a quanto ottenuto con le vetture sport e prototipo. Arturo però balza all’onore della cronaca per il suo eroico salvataggio, insieme a Lunger, Hertl e Fittipaldi, di Lauda nel rogo del Bergwerk. In tanti se ne dimenticheranno negli anni a venire (a partire dagli anglofoni e Ron Howard, che in Rush omette di inserire il casco dell’italiano nella scena dell’incidente), ma se Niki è sopravvissuto a quell’inferno, è anche (se non soprattutto) grazie all’intervento e al massaggio cardiaco di Merzario.

Sempre in pista, sempre a tutta

Sembra strano a dirsi, ma pur avendo corso negli anni ruggenti del motosport, l’incidente più drammatico per Arturo arriva nel ’90, a Magione, quando va a infilarsi in mezzo ad un rail alla Curva del Traliccio. Nonostante ciò, la sua carriera e i suoi successi continuano fino agli anni 2000, diventando anche presidente della Scuderia del Portello, rivestendo quindi un ruolo importante nella conservazione e nella diffusione del marchio storico a cui è sempre stato legato: Alfa Romeo.

Vederlo al volante nella parata dei piloti prima del GP di F1 a Monza nel 2019 è stata una forte emozione per tutti gli appassionati di motorsport, che riconoscono in quel cappello da cowboy sopra il sorriso da eterno ragazzo un simbolo delle corse e non solo. Auguri Arturo, pilota e uomo d’altri tempi!

Nicola Saglia

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