Adrian Newey a Miami, ultimo weekend in pista con Red Bull
Adrian Newey a Miami, ultimo weekend in pista con Red Bull

La querelle relativa all’abbandono della Red Bull da parte del mago dei progettisti Adrian Newey sta ormai da giorni riempiendo le pagine di tutti i giornali e siti di settore. La domanda è sempre quella: dove andrà l’inglese? Le risposte sono molteplici. In tanti parlano di Ferrari, ma sarebbero arrivate offerte, peraltro alquanto allettanti, praticamente da tutti, mancherebbe solo… Andretti. Maranello sembra essere la destinazione più gettonata, e questo farebbe piacere ai tifosi. Ma… ci sono tanti “ma”, che buona parte degli addetti ai lavori tendono, volenti o nolenti, a dimenticare, lasciando così indietro una parte importante di narrazione. 

Adrian, il migliore della sua generazione

Ora, partiamo da un presupposto, che deve essere ben chiaro prima di procedere con la lettura: Newey è senza dubbio uno dei migliori progettisti di sempre in Formula 1, e certamente il top assoluto della sua epoca. Può essere considerato, senza troppi giri di parole, l’erede di Colin Chapman, con cui condivide la nazionalità ed una capacità di capire la vettura nel suo insieme che a tanti altri progettisti manca. 

Certo, non è uno di quei tecnici a cui delegare la progettazione di un progetto a tutto tondo partendo dal motore, come faceva invece Forghieri ai suoi tempi. Ma questa è una caratteristica da tenere in conto se consideriamo che si corre oggi in una F1 in cui tecnologia e complicazioni di ogni genere la fanno da padroni. Dal punto di vista della concezione della vettura, inutile scervellarsi più di tanto: oggi è lui il migliore

Un percorso lungo, irto anche di criticità

Ma, si sa, anche i migliori sbagliano. Nel corso della sua ormai più che trentennale carriera, Newey ha costruito sì dei mostri di bellezza e velocità impareggiabili, ma ha anche preso le sue belle…cantonate. E, quando ha fallito, spesso lo ha fatto con clamore; per informazioni, chiedere alla McLaren dei primi anni 2000. In quegli anni, dopo i due titoli di Hakkinen, Adrian si perse nel tentativo di colmare il divario con la Ferrari di Schumacher, andando a concepire vetture estreme ma poco concrete. Addirittura, la Mp4-18 non vide mai la luce in pista, segno di un progetto inattuabile. 

Tutto questo per dire una cosa fondamentale: è vero che stiamo parlando del migliore in assoluto in circolazione, ma la bacchetta magica, signore e signori, non ce l’ha nemmeno Adrian Newey. Detto in altri termini, con ogni probabilità occorrerà avere pazienza, anche con il cambio regolamentare previsto nel 2026. È vero, Newey è stato spesso maestro nell’interpretazione delle varie rivoluzioni tecniche, ma questo non è detto che debba per forza verificarsi in ogni circostanza.

Inoltre, un’altra cosa occorre sottolineare: fino ad ora Adrian ha sempre lavorato in ambienti molto “british”, praticamente a due passi da casa, senza dover cambiare il proprio mindset più di tanto. Sembrerà una banalità, ma avere un ruolo così apicale a Maranello, anche se in veste di super consulente, è tutta un’altra cosa, e potrebbe rivelarsi un’esperienza traumatica, almeno nei primi tempi, anche per un uomo di grande esperienza e navigato quale lui è. E qui si innesta un altro discorso, ben meno “tecnico”, ma parimenti importante. 

Le pagine che… ti ho scritto

Starà guardando le sue prossime divise?
Adrian Newey: starà guardando le sue prossime divise?

È cosa nota nell’ambiente, ma è giusto rinfrescare la memoria. Adrian Newey ha scritto un’autobiografia in cui ha raccontato la sua vita dentro e fuori dalle piste. “How to build a car” è il titolo originale dell’opera; molto interessante, va detto, e ricca di spunti che dal punto di vista puramente tecnico valgono tanto quanto diverse ore in un’aula di università, facoltà di ingegneria. Ebbene, in queste pagine l’inglese si è spesso soffermato a parlare della Ferrari e degli italiani, senza mai mostrare particolare… entusiasmo, diciamo così. 

Anzi, il ritratto della Scuderia di Maranello che ne esce è un coacervo di luoghi comuni di una banalità a tratti irritante per chi legge. Si va dalla squadra protetta in qualche modo dalla Federazione per la sua storia, al gruppo di meccanici quasi incapaci capitati lì per caso, fino all’ovvia conclusione dei team inglesi composti in pratica da educande dai comportamenti sempre limpidi e al di sopra di ogni sospetto. Non si tratta di uno scherzo: è così, nero su bianco. 

Ora, nessuna fa una colpa al buon Newey di queste sue idee, e siamo pronti a credere che nel frattempo abbia avuto modo di ripensare in qualche modo a qualcuna delle sue affermazioni più “estreme”, per così dire. È anche vero che un contratto come quello che gli verrebbe (o sarebbe stato) offerto regalerebbe milioni di buoni motivi per passare sopra anche ai propri pregiudizi, per quanto radicati. E nessuno vuole qui mettere in dubbio la bontà di un affare che, se andasse in porto, potrebbe arricchire a livello intellettuale e tecnico in maniera incredibile una scuderia come la Ferrari, che ne ha un bisogno fortissimo. 

Ma quando si vuole raccontare a tutti i costi una storia, ed esaltare un personaggio e le sue azioni, è giusto dire tutto, senza lasciare indietro pezzi a piacimento. Altrimenti, dal giornalismo si passa al sensazionalismo, che di questi tempi alla F1, ma non solo, sta facendo più danni della grandine. 

Nicola Saglia

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