Cosa hanno in comune il mondo della F1 e una delle più grandi rapine ad un treno del secolo scorso? Verrebbe da dire che sono cose da cinema Western, da Jesse James o John Wayne, tutta roba che con le corse c’entra poco. E invece no, perché proprio oggi ricorre il sessantesimo anniversario di “The Great Train Robbery”, ovvero l’assalto al treno postale Glasgow-Londra. Uno dei più grandi “colpi” della storia della Gran Bretagna, ancora oggi ammantato di mistero, tanto da essere diventato una vera e propria leggenda, e di cui non si conoscono tutti gli autori. Tra di essi, dai giorni immediatamente successivi, gira voce che ci fosse nientemeno che lui, l’uomo che per quasi cinquant’anni ha retto le sorti del Circus: Bernie Ecclestone.

I fatti

Sono le 18:50 del 7 agosto 1963, e il treno della Royal Mail Service parte in orario dal binario principale della stazione centrale di Glasgow. Il carico è di quelli importanti: 2,6 milioni di sterline, da portare a destinazione a Euston, stazione di Londra. Il viaggio scorre senza problemi lungo la West Coast Line, una delle linee ferroviarie principali d’Inghilterra, e il treno corre come una F1 (ci si conceda il paragone, visto il contesto) fino ad un anomalo semaforo rosso tra le stazioni di Leighton Buzzard e Cheddington.

A questo punto, uno dei due macchinisti scende dal treno per telefonare alla stazione più vicina. Quando, però, accorgendosi dei fili del telefono di servizio tagliati, capisce di essere caduto in un’imboscata, è troppo tardi. Un manipolo di 15 malviventi mette fuori gioco lui e il suo collega, chiude il resto dell’equipaggio nell’ultimo vagone e muove il resto del treno fino a Bridego Bridge. Qui il prezioso contenuto viene trasbordato sui mezzi dei malviventi. Sembrerebbe un colpo da manuale, ma tanti fattori in realtà dimostreranno nei giorni successivi che non si tratta affatto di nulla di simile.

Le indagini

Quando la polizia si reca sul posto, per prima cosa ovviamente interroga i membri dell’equipaggio, che riferiscono di aver ricevuto l’ordine dai malviventi di non muoversi per trenta minuti dopo la rapina. Chiaro che non possono essere andati troppo lontano. Nello stesso tempo, un pastore locale riferisce di avere visto tanti movimenti sospetti intorno ad un casolare abbandonato nella zona di Leatherslade.

Per gli investigatori è facile fare due più due. Una volta sul posto, scoprono che i rapinatori, dopo la loro impresa, si sono ubriacati, hanno mangiato e giocato a monopoli coi soldi della rapina, disseminando l’ambiente di impronte digitali. Dodici dei quindici uomini saranno identificati nel giro di poco tempo; tra questi da sottolineare sono le menti del colpo, Ronnie Biggs e Bruce Reynolds, e uno dei “piloti da rapina”, Roy James. Già noto alle forze dell’ordine per furto d’auto, con i proventi della rapina il driver inglese si comprerà una Brabham con cui correrà in F2. Ma restano comunque tanti lati oscuri.

Tre personaggi senza volto

Restano da identificare tre dei protagonisti allo spettacolare colpo al treno postale, e, almeno due di questi si sussurra che facciano parte del mondo della F1 e del motorsport in generale. Anche perché è palese che almeno uno dei tre deve essere per forza un pilota, uno in grado di guidare veloce e non finire fuori strada con il prezioso carico.

È qui che, in qualche modo, inizia la vera e propria leggenda della Grande Rapina. Perché ad un certo punto della storia, non si capisce tutt’oggi su che basi, qualcuno inizia a tirare fuori uno dei nomi dei tre “soliti ignoti”. Si tratterebbe di Boyle Pittard, pilota inglese dal futuro assolutamente brillante, all’epoca impegnato nella serie italiana di Formula 3. Il suo nome, però, venne pronunciato tanti anni dopo, quando il giovanissimo Pittard ormai non era più in grado di difendersi o chiamarsi fuori.

L’inglese, infatti, nel frattempo impegnato con successo anche con la Lola nei prototipi, ha trovato la morte a Monza, quando la sua vettura ha preso fuoco nel “Gran Premio dell’Autodromo” nel 1967. Fatale, in questo caso, fu la sua abitudine di correre con un giubbotto di nylon, in un’epoca in cui la sicurezza in pista aveva standard inesistenti. Al di là della Manica, qualcuno sparse la voce che Pittard fosse stato addirittura deliberatamente messo a tacere perché intenzionato a vuotare il sacco con le autorità.

Difficile dire quale sia la verità, anche se pare che in realtà sia stata la rottura di uno dei tubi della benzina la causa delle fiamme che avvolsero l’inglese in partenza, che fece appena in tempo, con un gesto eroico, a portarsi a bordo pista per creare meno pericolo possibile ai colleghi che sopraggiungevano.

Ecclestone: il presunto coinvolgimento

E qui inizia la parte più succosa, per così dire, per tutti gli appassionati di F1. Perché nel 1975, quando viene scarcerato, chi chiama per primo Roy James? Un vecchio amico, tale Bernie Ecclestone, all’epoca della rapina brillante 33enne, e nel ’75 già patron della Brabham. Vero che mezzo Circus è già gestito da lui, ma pare difficile pensare che uno come James, quarant’anni suonati, potesse ambire a trovare un sedile.

Bernie non lo mette dietro ad un volante, ma lo ingaggia come orafo addetto ai premi dei GP: un ruolo non certo da poco, soprattutto a livello economico. Nel 1995, poi, ad un GP in Brasile, chi va ad invitare nel paddock della F1 il buon Bernie? Nientemeno che Ronnie Biggs, che nel frattempo è diventato padre in quel paese (e quindi impossibile da estradare), ha addirittura cantato in un paio di canzoni nei Sex Pistols ed è scampato ad un rapimento per la riscossione della taglia sulla sua testa alle Barbados. Niente male, vero?

"L'avrei organizzata meglio"

Nell’occasione, scherzando (ma forse non troppo), durante un party a margine del GP in una piscina della città di San Paolo, lo stesso Biggs invita Bernie ad ammettere la sua partecipazione al colpo. Negli anni, Ecclestone non si è mai difeso più di tanto, limitandosi ad un sibillino: “Se quella rapina l’avessi organizzata io, sarebbe andata molto meglio!”.

Insomma, Ecclestone è un personaggio che continua a richiamare su di sé le attenzioni di tanti, addetti ai lavori e non. Anche perché le origini della sua carriera da manager restano (volutamente, è giusto sottolinearlo) abbastanza fumose, e sono in molti al di là della Manica a credere che buona parte del bottino della Grande Rapina venne “riciclato” nell’acquisto della Brabham da parte sua.

Una storia, una leggenda, di quelle che il motorsport è in grado di regalare. Chissà se sapremo mai chi furono i tre ignoti, e se Mr. E, colui che per più di quarant’anni ha retto le sorti del Circus della F1, era veramente uno di loro.

Nicola Saglia

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