In Italia (almeno per il momento) ancora nessuno ne parla, ma soprattutto in Gran Bretagna e Spagna gli hashtag #YesToF1OnTwitter e #SiALaF1EnTwitter si stanno diffondendo a macchia d'olio, tanto da scalare rapidamente posizioni nella Top Trend del noto social network. Di cosa stiamo parlando? Semplice: la FOM (ovvero, per chi non lo sapesse, la società che gestisce i diritti d'immagine legati alla Formula 1) nelle ultime ore sarebbe entrata a gamba tesa sugli appassionati presenti su Twitter, facendo sospendere diversi account contenenti la dicitura "Formula1" o "F1". Il motivo? Trattandosi di marchi registrati, il semplice utilizzo di uno di questi vocaboli comporterebbe la violazione dei diritti di copyright ad essi legati. Roba da non credere.

Il bello è che, nella società dei social, dove la comunicazione viaggia alla velocità della luce e (soprattutto) dove canali come Twitter e Facebook rappresentano un luogo privilegiato per i fans di tutto il mondo al fine di ricevere informazioni, conoscersi e scambiarsi idee, chi gestisce il business della Formula 1 sembra essere rimasto fermo al Medioevo. Basterebbe pensare a quanto dichiarato nei mesi scorsi da Bernie Ecclestone, il quale aveva definito "irrilevante" ed "incomprensibile" il mondo legato a Twitter ed ai social network. Una presa di posizione di chi, evidentemente arroccato nella sua stanza del potere, non sente e non vuole vedere ciò che gli sta attorno. Un universo fatto da centinaia di migliaia di persone sparse in tutto il mondo, tra addetti ai lavori, blogger e semplici appassionati.

Il tutto mentre la Formula 1 è rimasta forse l'unico, tra gli sport ad altissimo livello di popolarità, ad essere clamorosamente arretrata sotto il profilo della comunicazione e dell'interazione con il pubblico. A questo punto, se però tutto ciò sarebbe realmente "irrilevante", varrebbe la pena di chiedersi il motivo di un simile intervento. Perché vorremmo sapere quale scopo di lucro possano avere i numerosissimi appassionati che, magari sbarcati su Twitter proprio per il desiderio di sentirsi più vicini al proprio sport preferito, utilizzano tali diciture nel proprio account. E la stessa cosa vale, naturalmente, per i tanti blog e siti (noi compresi) realizzati da quegli stessi appassionati, i quali pur non guadagnando un centesimo dalla propria attività si vedrebbero costretti a cambiare il proprio nome.

Ancora una volta, se l'universo sportivo va da una parte, l'elitario mondo della Formula 1 sembra procedere nella direzione opposta. Se altrove si cerca di coinvolgere il proprio pubblico, i propri tifosi, ovvero coloro che rendono possibile il business acquistando il merchandising e partecipando agli eventi, Ecclestone e soci sembrano voler fare l'esatto contrario. Rendendo i paddock invisibili, obbligando i circuiti a pagare tasse d'iscrizione mostruose che inevitabilmente si ripercuotono sul costo dei biglietti, e adesso persino entrando in un contesto finora "immacolato" come il web. Con uno stile degno del peggior regime anti-democratico. La rivolta, nel frattempo, sui social network è già partita: un tentativo estremo per far sentire, più che mai, la forza della Rete. E (non) chiediamo scusa, intanto, per essere ciò che siamo: appassionati che scrivono per passione. Quella che non si può uccidere con un ignobile atto di censura.

Marco Privitera

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