L'impianto che ospita la 500 Miglia si trova nello Stato dell'Indiana a Speedway, una cittadina a nord-ovest di Indianapolis, e la costruzione del tracciato, pavimentato in ghiaia mista a catrame, risale al 1909: la pista avrebbe dovuto servire come supporto per ospitare eventi di vario genere ed attività di collaudo automobilistico.

Storia

Nel 1911, all'indomani di una ripavimentazione più adeguata (il nuovo rivestimento è in mattoni e calce, detto Brickyard), viene organizzata una gara di durata da disputare su una distanza di cinquecento miglia: nella prima Indy 500 si impone Ray Harroun su Marmon Wasp, ad una media di circa 75 miglia orarie e alla guida della prima auto da corsa munita di specchietto retrovisore.

Se in tutto il resto del mondo le prestazioni si misurano in tempo, a Indianapolis si parla principalmente di media oraria, che è la stessa cosa, ma restituisce meglio il concetto di velocità. Dagli Anni Trenta in poi il manto stradale sarà in asfalto, ma ancora oggi è possibile ammirare la famosa pavimentazione in mattoncini nella striscia larga tre piedi che delimita la linea del traguardo.

Tecnica

Per quanto riguarda i dati tecnici della pista, il catino (da percorrere in senso antiorario) è accreditato di una lunghezza di 2,5 miglia, così ripartiti: due rettilinei da 5/8 di miglio con banking a 0°, due raccordi tra le curve (detti Short Chute) da 1/8 di miglio con banking a 0° e quattro curve da 1/4 di miglio con banking a 9°12'.

Quattro curve e pianta simmetrica sono il trionfo della semplicità, ma non della banalità, dato che ci sono due insidie nascoste. Primo: gli specialisti degli ovali (ovvero la quintessenza dell'automobilismo USA) dicono che la corsa su questa tipologia di tracciato sia una delle esperienze di guida più pericolose in assoluto, perché giocata molto spesso sul filo del rasoio. Secondo: chi ha guidato durante la Indy 500 riferisce che il catino sia "una cosa viva che si muove", come se fosse in continua evoluzione. Noi, che al massimo abbiamo giocato al glorioso Indianapolis 500 The Simulation della Papyrus durante gli Anni Novanta, non possiamo fare altro che affidarci alle parole dei professionisti.

Un appuntamento a parte

La 500 miglia di Indianapolis costituisce una corsa a parte rispetto al resto della stagione dell'IndyCar, anche se vi contribuisce come punteggio. Chiunque sia in grado di mettere in pista una vettura con le specifiche richieste dal regolamento può partecipare all'evento, indipendentemente dalla partecipazione al campionato: all'atto dell'iscrizione riceverà il numero di gara per la monoposto principale e il numero di gara con la T per l'eventuale muletto, detto T-car.

Oggi le specifiche vigenti lasciano libera solo la scelta del motorista (Chevrolet o Honda), ma fino agli Anni Novanta le possibili combinazioni di motore, telaio (anche di qualche anno prima, tutto fa brodo…) e gomme davano luogo ad una selezione tecnica più variegata. In un certo senso, questo appiattimento tecnico è uno dei motivi per cui negli ultimi anni la gara ha smarrito buona parte di quel fascino che la caratterizzava. La 500 Miglia di Indianapolis ha visto tentativi di qualifica con vetture anacronisticamente a motore anteriore (negli Anni Ottanta) o con tecnologie fin troppo d'avanguardia come la Eagle Aircraft Flyer (nel 1982), per non parlare dei motori dedicati esclusivamente alla 500 Miglia, come i Mercedes-Ilmor vittoriosi nel 1994 o le preparazioni Menard, mostruosamente potenti e con un'affidabilità prossima allo zero, sono solamente ricordi di un'epoca lontana.

Maggio

Tutto il mese di maggio è dedicato alle prove libere: nei primi giorni viene effettuato il Rookie orientation program, prova di ammissione per gli esordienti. Questi devono dimostrare di essere in grado di girare per quattro batterie di dieci giri ciascuna, mantenendosi dentro un range di velocità media che a ogni batteria si alza. Stesso trattamento anche per i veterani che si sono presi una pausa dalle gare IndyCar: per loro il test prende il nome di Refresher.

Le qualificazioni sono da sempre caratterizzate da un sistema complesso di assegnazione dei posti, ma dal 2014 la procedura si è semplificata; ciò che non è cambiato è la prestazione di riferimento, cioè la velocità media ottenuta in quattro giri di pista consecutivi (regola che risale al 1939).

Il formato classico delle qualificazioni

Il sabato del fine settimana prima della gara la pista rimane aperta per i tentativi di qualifica: ogni iscritto ha a disposizione tre tentativi di qualifica (l’ordine viene stabilito per estrazione) e ogni tentativo annulla la media ottenuta dal precedente; alla fine della giornata i trentatré più veloci si aggiudicheranno la griglia di partenza. Il giorno dopo, i primi nove (detti The Fast 9) avranno un tentativo ciascuno per giocarsi le prime nove posizioni al via, così come i restanti ventiquattro, che si disputeranno i posti dal decimo al trentatreesimo.

Prima del 2014 il sistema di qualifica prevedeva tre giornate di definizione provvisoria della griglia (sempre a scaglioni: top 11, poi posti dal 12° al 22° e quindi dal 23° al 33°) e una quarta giornata (il Bump Day) in cui il pilota On the bubble, cioè con la media più bassa (e non necessariamente l’ultimo nello schieramento), poteva essere estromesso da chi girava più forte, fino ad esaurimento dei tentativi disponibili. Parte del fascino della 500 Miglia di Indianapolis risiede proprio in questo meccanismo.

Gara

La gara si gioca sulla distanza di cinquecento miglia, caratterizzate da velocità, sorpassi, rifornimenti, cambi gomme e neutralizzazioni sotto bandiera gialla. Se vogliamo vedere il nostro numero di gara nel punto più alto di The Pylon al traguardo del duecentesimo giro, entrando da trionfatori nella Gasolyne Alley per brindare con il latte, la lettura di ciò che avviene in pista è importante tanto quanto comprendere il comportamento della vettura nelle varie fasi di gara.

In altre parole: se vogliamo che la nostra faccia finisca scolpita sull'enorme Borg Warner Trophy abbiamo bisogno di un buon compromesso di assetto per le fasi di gara in aria libera e quelle in aria turbolenta (cioè in scia agli avversari o nelle fasi trafficate di doppiaggio), un ottimo affiatamento con lo spotter (la persona che dai box informa costantemente il pilota su tutto quello che, letteralmente, succede intorno alla vettura) e di trovarsi in una posizione buona, con livelli di gomme e metanolo sufficienti, per essere aggressivi negli ultimi quindici - venti giri, cioè la fase risolutiva della gara.

Non solo una questione di vettura, ma anche di pilota

Bisonga gestire la concentrazione, l'adrenalina e il proprio fisico durante le due ore e tre quarti di gara (se va bene), sotto il sole che picchia e quasi sempre oltre le duecento miglia orarie: il confine tra vittoria e sconfitta è talmente labile che basta una disattenzione in prossimità del traguardo per infrangere i sogni di gloria... chiedete a Takuma Sato o J. R. Hildebrand e vedete cosa vi rispondono.

In conclusione: la storia leggendaria di Indy 500 fa sì che la gara sul catino dell'Indiana sia una delle grandi classiche dell'automobilismo mondiale, con una copertura mediatica a livello globale (basti pensare a cos'è successo nella passata edizione con la partecipazione di Fernando Alonso) e, almeno nei giorni di grazia, seguita da un pubblico da casa numericamente secondo solo al Superbowl.

Fascino da ritrovare

Negli ultimi vent'anni la corsa ha smarrito per strada buona parte del fascino caratteristico dell'epoca che fu, di quei gloriosi Anni Sessanta quando costituiva il punto di contatto tra l'America e l'Europa in pista e in cui si parlava di un riconoscimento puramente statistico, la Triple Crown, che metteva assieme la vittoria in tre gare completamente diverse tra loro (GP di Monaco di Formula 1, 24 ore di Le Mans e 500 Miglia di Indianapolis): la causa è da ricercare in un complicato garbuglio di ragioni tecniche, sportive e politiche che dagli Anni Duemila in poi ad un certo punto hanno portato una delle corse più famose del mondo al livello di una bolsa gara di go-kart aziendale.

La stagione 2018 è iniziata con un rinnovato vigore per la categoria delle ruote scoperte a stelle e strisce, quindi è lecito aspettarsi un nuovo interesse per una delle corse che, nel bene e nel male, contribuisce a scrivere la storia delle competizioni in pista. Nella speranza che un domani torni ad essere iconica come lo era un tempo e come dovrebbe sempre essere.

Luca Colombo