Anno 1985. Al volante della Ferrari, per il secondo anno consecutivo, c'è un giovane e bravo pilota italiano. Il suo nome è Michele Alboreto. Cresciuto a Rozzano, periferia sud di Milano, ha fatto tutta la gavetta delle formule minori prima di approdare alla massima serie. Dagli esordi in Formula Italia alla vittoria nel Campionato Europeo di Formula 3, sino all'impegno con Lancia nel Mondiale Marche. Insomma, uno che si è costruito da solo, uno che da ragazzo i primi soldi li ha raccolti lavorando nell'officina dello zio, uno ben lontano dallo stereotipo del pilota moderno, valigia pesante e poco talento. Michele, invece, di pesante aveva solo il piede: per questo, dopo la chiamata di Ken Tyrrell nel 1981, era riuscito a cogliere ben due vittorie, prima di raggiungere un altro sogno, forse il più grande, specialmente per un pilota italiano: un sogno chiamato Ferrari. Alla corte del Drake, il milanese era andato forte subito: pole position e vittoria già alla terza gara, a Zolder, concludendo il campionato con un ottimo 4° posto. Ma si sa, specialmente nello sport, i sogni non possono, non devono mai terminare: occorre sempre spostare l'asticella un pò più in là, porsi nuovi limiti, nuovi obiettivi. Ma un conto è farlo quando si deve fare affidamento solo su sè stessi, sul proprio corpo, la propria mente, le proprie capacità. Un altro è farlo in uno sport come la Formula 1, dove le componenti fondamentali sono due: l'uomo e la macchina. A tal proposito, per sapere in quali percentuali esse incidano, ognuno ha le proprie teorie. Quel che è certo, è che all'inizio di quella stagione 1985 le componenti sembrano tutte essere al posto giusto: una Ferrari competitiva e Michele all'apice della propria forma. Un mix perfetto, dunque. Ed infatti, i risultati non tardano ad arrivare. Pole position all'esordio, in Brasile, e tre volte sul podio nelle prime quattro gare. Poi arriva il trionfo a Montreal, davanti al compagno Johansson, seguito da altri due podi, a Detroit e a Silverstone. Sino all'apoteosi del Nurburgring, a Luglio: forse la vittoria più bella di Michele, conquistata con un sorpasso magistrale su Rosberg. Peccato che sarebbe stata anche l'ultima. Ma, nel frattempo, la classifica parla chiaro: primo. Davanti ai vari Prost, Senna, Lauda, De Angelis. Primo. Un pilota italiano sulla Ferrari alla rincorsa del titolo mondiale. Era dal 1953, dai tempi di Ascari, che il campionato piloti non vedeva nell'albo d'oro la presenza di un pilota italiano. Troppo tempo. Il sogno era lì, a portata di mano. Peccato che, a un certo punto, una delle due componenti avrebbe iniziato a fare cilecca: e non fu quella umana. La McLaren diventava sempre più competitiva, gara dopo gara, ed in Ferrari decidono che è il momento di fare qualcosa. Peccato che la soluzione trovata, ovvero cambiare il fornitore delle turbine nel tentativo di aumentare le prestazioni dei motori, avrebbe partorito risultati assai chiari: propulsori rotti a ripetizione. Nelle ultime cinque gare Alboreto colleziona la bellezza di cinque ritiri. E addio al sogno. Prost vince il Mondiale, e a Michele non resta altro da fare che sperare in una seconda occasione: peccato che non sarebbe arrivata mai. In Ferrari, soprattutto l'Ingegnere in persona, ci si sarebbe sentiti quasi in debito nei suoi confronti, come se gli fosse stato scippato qualcosa ingiustamente, per un banale errore di valutazione tecnica. I propositi di rimediare c'erano tutti, peccato che non si sarebbero mai trasformarsi in realtà: vuoi per la scarsa competitività delle vetture successive, vuoi perchè forse Michele aveva smarrito quel tocco vincente di quella stagione magica. Il matrimonio sarebbe andato avanti fino al 1988, poi in Ferrari arrivò Mansell, per proseguire quel processo di "inglesizzazione" tecnica del Cavallino che aveva già visto arrivare il progettista John Barnard, con tanto di sede separata a Guilford, Inghilterra. Proprio quel Barnard con cui Michele non riuscì mai a legare. La sua carriera sarebbe comunque proseguita in Formula 1, tra alti e bassi, in scuderie minori. Ma con la costante di aver sempre dalla propria doti non da tutti, come schiettezza, moralità, professionalità. Vedasi processo Senna, anno 1994. Sarebbero arrivati poi altri trionfi, al di fuori dalla Formula 1: alla 24 di Le Mans, alla 12 ore di Sebring. Fino a quel maledetto Lausitzring. In pochi istanti, senza nemmeno potersi accorgere di cosa stesse accadendo. E senza che la Ferrari, in qualche modo, potesse riuscire ad onorare quel famoso debito.

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