La pausa estiva, per i race fans, rappresenta da anni ormai la lunga attesa di vedere le vetture di Formula 1 correre su una delle piste mitiche del Circus, Spa-Francorchamps. Da sempre, il tracciato belga è considerato uno dei più affascinanti e difficili del Mondiale; c’è stato un tempo, però, in cui correre nelle Ardenne significava veramente mettere in gioco la propria vita e il proprio valore.

Dalle origini alla Golden Age delle corse: medie da brivido tra pini e terrapieni

Uno stradale puro: questo è il tracciato di Spa appena concepito, paragonabile al vecchio Mugello o al percorso della Targa Florio sulle Madonie. Concepito negli anni ’20, prende la sua conformazione definitiva nel 1939, con l’eliminazione del tratto dell’Ancienne Douane, sostituito dalla combinazione Eau Rouge-Raidillon, che ancora oggi è un simbolo dell’automobilismo mondiale.

Il layout originale prevedeva una lunghezza di 14,947 chilometri; una sorta di enorme triangolo conficcato nel cuore della foresta. Malmedy, Stavelot, Blanchimont: per noi queste sono nomi di curve, ma in origine erano tutti i paesi attraversati dalla pista. Sostanzialmente, dove oggi sorge la chicane Les Combes, le vetture tiravano dritto, per poi tornare nel disegno attuale all’altezza di Blanchimont.

Medie spaventose, paragonabili a quelle degli ovali dell’epoca; tale era il livello della sfida a Spa. Il cuore del tracciato era sicuramente situato nel punto più lontano dai box, tra i paesi di Malmedy e Stavelot. A dividerli, il rettifilo di Masta, 2,4 km da affrontare con il piede destro schiacciato a terra, prima di affrontare la piega destrorsa tra i muri delle case che non lasciavano scampo.

Clark, Amon e Pescarolo: i signori della Foresta belga

Oltre alla F.1, a Spa si sono scritte da sempre pagine di storia del motorsport anche tra i prototipi e le vetture GT. La 1000 km e la 24 Ore hanno visto darsi battaglia piloti di prim’ordine, prima che la pista fosse accorciata e resa quella che è oggi.

Sembra incredibile, ma Jim Clark, che qui guidava divinamente, tanto da vincere quattro volte di fila tra il 1962 e il 1965, provava un sentimento di odio sincero verso la pista. La riteneva troppo piena di rischi e pericoli irragionevoli, anche per chi all’epoca si dava battaglia sulla Nordschleife o sul dritto pauroso dell’Hunaudiers.

Chris Amon, invece, detiene il record sul giro in F.1, fatto registrare nel 1970 (ultima edizione valida per il Circus, vinta da Pedro Rodriguez su BRM) alla media spaventosa di 244 km/h. Al contrario di Clark, il kiwi adorava Spa, ma era terrorizzato dai catini americani, tanto da far dichiarare al connazionale Bruce McLaren: “Se pitturassi dei pini sui muretti di Indianapolis, allora sì che vincerebbe la 500 Miglia!”. Ma è ancora più incredibile il record di Henri Pescarolo su Matra alla 1000 km del 1973: 3’13”4, alla media di 263 km/h.

Chi ha corso alla vecchia Spa, parla di una pista non difficile da imparare, ma dove era fondamentale tenere giù il piede, anche contro l’istinto di auto-conservazione. La più piccola esitazione poteva costare fino a due secondi. Specialista, in questo, il padrone di casa Jacky Ickx. Nell’edizione ’68 della 1000 km, partita sotto una pioggia torrenziale, solo nel corso del primo giro diede ben 27 secondi di distacco alle Porsche ufficiali con la sua Ford GT40.

Da segnalare come, nel ’66, per le riprese del suo film Grand Prix, John Frankenheimer fece montare una macchina da presa su una vecchia McLaren, che seguì le fasi della partenza alle spalle del gruppo, guidata dall’ex iridato Phil Hill. Nella stessa edizione, si scatenò un violento acquazzone (abbastanza usuale nella zona) a causa del quale Jackie Stewart con la sua BRM finì nella cantina di una casa a bordo pista.

L’arrivederci al Circus e il taglio della pista

Proprio lo scozzese, avanti anni luce in ambito di sicurezza, si fece promotore di una vera e propria crociata contro la pista, ritenuta troppo pericolosa. Difficile dargli torto, anche leggendo i numeri relativi ai decessi e agli infortuni. Nel 1960, addirittura, Chris Bristow e Alan Stacey persero la vita a distanza di cinque giri l’uno dall’altro.

La F.1 lasciò quindi Spa dopo l'edizione 1970, ma anche le altre gare non videro il nuovo decennio. Il Mondiale Marche chiuse l’esperienza sul vecchio tracciato nel 1978, per poi tornare l’anno successivo sul layout che conosciamo oggi, seppur con qualche modifica.

Il ritorno delle monoposto, le ultime modifiche e la tragedia di Hubert

Con l’inserimento della chicane Bus Stop prima del tornante della Source, la pista è pronta al ritorno del Circus in pianta stabile a partire dal 1985. Nel frattempo, vengono costruiti i nuovi box, e la linea del traguardo viene spostata prima della curva stessa, che diventa così la prima del nuovo layout che misura 7 chilometri.

Proprio la zona della Bus Stop è stata teatro del cambiamento maggiore degli ultimi anni. La doppia “esse” è stata sostituita da due rampini stretti, che spezzano non poco il ritmo, rendendo molto più lento l’ingresso in rettilineo.

Spa-Francorchamps, nonostante le modifiche, resta una delle piste più affascinanti e belle del Circus, in cui sono stati fatti passi avanti importanti anche dal punto di vista della sicurezza. Nonostante questo, nel 2019, all’uscita del Raidillon, l’incidente mortale occorso a Antoine Hubert ha ricordato a tutti quanto questo sport possa essere pericoloso, pur attuando tutte le misure e le precauzioni del caso. Lo stesso punto è stato teatro del botto di Aitken nell’ultima 24 Ore, a testimonianza di come le difficoltà restino estreme, soprattutto in caso di pista bagnata.

Una leggenda che ha resistito al passare degli anni, ecco cosa è Spa. Al pari di Monza, Silverstone, Monaco, ha dovuto rifarsi più volte il look, per resistere al passare degli anni, ma la difficoltà, il fascino e la sfida che rappresenta sono rimasti immutati. Un monumento al motorsport, che attende ancora di vedere chi, tra i migliori drivers al mondo, avrà il coraggio di tenere giù il piede a Eau Rouge e Pouhon!

Nicola Saglia