Che la questione relativa al porpoising sarebbe stata uno dei motivi di interesse della stagione era risultato chiaro già dai primi test di Barcellona. La reintroduzione delle vetture a effetto suolo aveva infatti sin da subito provocato questi movimenti oscillatori, fastidiosissimi per i piloti ad altissime velocità. Le prime voci preoccupate erano ben presto venute a galla, ma il vero spartiacque è stato il GP di Baku, dove in molti hanno patito questo fenomeno e Lewis Hamilton addirittura ha fatto fatica a scendere dalla macchina per il mal di schiena. La Federazione, a questo punto, si è sentita in dovere di intervenire creando, come spesso accade, dissapori e malumori tra gli stessi team.

Un fenomeno non riscontrabile in galleria del vento

Per capire l’effetto del saltellamento (porpoising, appunto), occorre sapere che questo fenomeno si innesca in particolare con le vetture ad effetto suolo. Il pompaggio dato dal particolare disegno delle monoposto crea queste situazioni di stallo e continui rimbalzi per il contatto con l’asfalto. Un effetto particolare e fastidioso per i piloti, che però non rappresenta certo una novità.

Già negli anni ’80, infatti, se ne parlava e proprio per ridurre questo effetto furono introdotte le sospensioni elettroniche, poi abolite dal ’94. Quello che è incredibile è che gli ingegneri moderni, pieni di calcoli, computer e grafici, non si siano presi l’impegno di dare una letta anche veloce ai libri di storia, e quindi si siano fatti trovare completamente impreparati a quanto succedeva in pista.

L’effetto porpoising, infatti, non è replicabile in galleria del vento o in altre situazioni di simulazione, perché avviene oltre i 200 km/h, raggiunti solo in pista. Per questo, dopo i primi test in terra catalana, tutti i team si sono trovati a dover mettere pesantemente mano ai propri progetti.

A Montreal interviene la FIA, anzi no…

Tra i top team, quello che ha subito di più la situazione è stata certamente la Mercedes. A Baku, prima della gara, George Russell aveva dichiarato che la situazione si stava facendo sempre più pericolosa e c’era il rischio di incappare in un pesante incidente con conseguenze gravi. Dopo il GP, poi, le immagini di Hamilton che faticava ad uscire dalla macchina hanno fatto il giro del mondo.

A questo punto, dopo che anche Toto Wolff aveva alzato la voce (non è stato l’unico, va detto...), è intervenuta la Federazione. Nel GP del Canada, si era deciso inizialmente di fare dei controlli serrati sull’oscillazione delle vetture, imponendo di modificare le altezze da terra in caso di valori eccessivi. In un secondo momento, è arrivata la parziale smentita; i dati raccolti verranno analizzati, poi da Silverstone si inizierà a prendere provvedimenti.

Il cambio delle regole fa discutere

Che sia già avvenuto o che si sia posticipato di due settimane, poco importa. Quello che bisogna far notare, ancora una volta, è come la FIA sia intervenuta, invocando ragioni legate della sicurezza in pista, a stagione in corso chiedendo modifiche sostanziali ai team. Inutile girarci intorno: per ridurre il porpoising, con i regolamenti attuali, l’unica soluzione è alzare le vetture da terra. Cosa che è già stata costretta a fare la Mercedes in diverse occasioni, ma non Red Bull e Ferrari.

Verstappen lo ha dichiarato chiaro e tondo: “Non mi importa se la nuova direttiva sia meglio o peggio per noi della Red Bull. È una questione di principio. Non penso sia corretto cambiare le regole durante il campionato. Capisco le ragioni della sicurezza, ma credo che ogni ingegnere del paddock sia d'accordo con me. Tutte le macchine stanno saltando troppo perché sono disegnate per avere il massimo carico viaggiando molto vicine al suolo. Però bisogna essere capaci di adattarsi alla situazione”. Parole a cui, sinceramente, è difficile aggiungere qualcosa.

La terra del Safety First a piacimento

È un argomento difficile, complesso e che abbiamo già affrontato in passato su Livegp.it, ma vale la pena di tornarci sopra. Da tempo la credibilità di questa F.1 è messa a repentaglio dalla… stessa F.1! L’intervento della Federazione su richiesta di una parte del paddock in difficoltà nel campionato è paragonabile, fatte le dovute proporzioni, all’arbitro che in una partita di calcio fischia “a chiamata” per una squadra (chi ha calcato almeno una volta uno di quei fangosi campi di paese sa a cosa ci si riferisca...).

La sensazione, ancora una volta, è che sotto la bandiera della sicurezza si vada mettere una pezza che è peggio del buco. Perché intervenire adesso, a stagione inoltrata, crea in ogni caso problemi a squadre che fino ad ora sono state più brave di altre nel risolvere, o quantomeno mitigare, il problema. Le contromisure, se necessarie, andavano prese subito, dopo i primi test, senza aspettare di arrivare a questo punto. Si può obiettare: ma allora nessuno aveva lamentato problemi particolari. Risposta: ma tutti i super tecnici cervelloni che stanno in plancia di comando della F.1, non ci hanno veramente pensato? Si fanno le regole senza tenere in considerazione ogni aspetto e ogni sfaccettatura di una rivoluzione tecnica simile? Andiamo male, se fosse veramente così.

E se l’invocazione della sicurezza da parte di un team in difficoltà ci può anche stare (ci torneremo su più avanti), non è invece ammissibile da parte della Federazione Internazionale. La sicurezza deve essere sempre una priorità, in ogni momento e in ogni aspetto, ma non si può nel suo nome eliminare la possibilità di piloti e ingegneri di mostrare il proprio valore anche nel trovare soluzioni ai problemi delle monoposto.

I piloti sono atleti, con i pro e i contro

Dicevamo che le affermazioni di Russell, Hamilton e Wolff sono quantomeno comprensibili. Ci sta che una squadra in difficoltà cerchi in tutti i modi di fermare la corsa di avversari più veloci. Sta poi alla FIA decidere se ritenere lecite e accogliere le richieste.

Quello che a volte tutti tendiamo a dimenticare, però, è un dato di fondo: i piloti sono atleti a tutti gli effetti. Gli allenamenti a cui si sottopongono, lo stress, la fatica fisica data da queste macchine, sono superiori a quelle di tanti altri sport professionistici. E nella carriera degli atleti a questi livelli, c’è una cosa che è contemplata da tutti i contratti: gli eventuali infortuni.

Attenzione, nessuno sta parlando del caso estremo, ovvero della morte in pista, eventualità che però non sarà mai possibile eliminare del tutto. Ma il resto, compreso il mal di schiena lancinante di Hamilton a fine gara a causa del porpoising, è contemplato nella carriera di un atleta di questo livello. Per informazione, chiedere ai piloti Indycar cosa significhi guidare a Long Beach.

Insomma, la questione porpoising fa e continuerà a fare discutere, anche a causa di una Federazione che non perde occasione per mostrare scarso polso e coerenza. Difficile che accada, ma se a Silverstone qualche valore in campo dovesse cambiare marcatamente, attendiamoci un’estate di fuoco. E non solo per le condizioni climatiche.

Nicola Saglia