Le recenti dichiarazioni del presidente FIA, Mohammed Ben Sulayem, hanno aperto qualche spiraglio sull'ingresso in F1 di una nuova scuderia. Una nuova entità troverà spazio nel Circus? Quale modello di business potrebbe adattarsi meglio sulla base di questa nuova apertura? Cosa può insegnare il passato così da smorzare i facili entusiasmi generati dall'inaspettata posizione espressa dal presidente FIA?

Haas ultimo nuovo ingresso

Il rinnovato appeal della F1, secondo i report "esploso" negli ultimi anni a livello televisivo globale e sul difficile mercato USA, attira una pletora di potenziali player che ambiscono ad entrare e spartire una fetta della torta. La situazione pare ricalcare quella degli Anni Ottanta e della prima metà degli Anni Novanta, ma i tempi "ruspanti" sono finiti ed i modelli di business dell'epoca non sono più applicabili.

Facendo un esercizio di memoria, Haas rappresenta l'ultima nuova scuderia ad aver fatto il suo ingresso in F1. Gli americani, ai tempi, hanno sfruttato la possibilità di "fare la spesa" dai vari competitor a livello di fornitura parti. La scuderia diretta da Guenther Steiner basa la propria esistenza su un modello di business che la vede nel ruolo di assemblatore ed operatore.

Ventisei monoposto

I regolamenti sportivi contemplano una griglia "completa" con il raggiungimento di ventisei partenti. Guardando alla situazione attuale, parliamo di sei monoposto (quindi tre scuderie) in più. La F1 deve coprire tutti i posti disponibili? Non necessariamente. Introno al 2010 una "folata rivoluzionaria" aveva aperto le porte a tre scuderie (HRT, Lotus e Virgin) con il miraggio di un campionato in cui un minore budget speso (erroneamente associato al concetto di "disponibile") apriva le porte ad una serie di vantaggi tecnici migliorativi per le prestazioni.

Sappiamo tutti com'è andata a finire e sappiamo che una F1 a due velocità (finanziaria e tecnica) è improponibile. Dal punto di vista finanziario l'ingresso di una nuova scuderia deve garantire determinate coperture che vadano ad aumentare il valore economico globale del prodotto. Contemporaneamente l'ingresso di un nuovo nome andrebbe a turbare l'establishment economico di scuderie che, negli ultimi anni, hanno investito nella F1 e aspettano dunque un ritorno. Dal punto di vista sportivo non ha senso e risulta controproducente trascinare in pista delle strutture non in grado di mettere sull'asfalto delle vetture all'altezza.

Identikit

Per questi motivi diventa piuttosto difficile costruire l'identikit di un'entità pronta ad entrare in F1 senza acquisizioni di strutture già esistenti. Forse una Casa automobilistica potrebbe pensare ad un "salto" simile, tuttavia bisogna tenere conto che gli investimenti sportivi costituiscono delle voci (di spesa) che vanno messe a bilancio e, per questi motivi, approvate.

Un ente terzo, ad esempio quella scuderia Andretti Global di cui si parla da tempo, potrebbe avere meno vincoli di bilancio, ma d'altro canto dovrebbe mettere sul tavolo una struttura finanziaria abbastanza robusta da assorbire oneri ed onori indotti dalla presenza nel Circus. Un esercizio forse impossibile, al giorno d'oggi, senza sponsor principali forti e l'appoggio di un fornitore di PU, certamente l'elemento più costoso su una F1 moderna.

Oggettivamente possiamo pensare che le parole del Presidente FIA costituiscano un puro esercizio dialettico, specialmente se consideriamo l'enfasi della F1 stessa nel proteggere le scuderie esistenti. Gli attuali termini commerciali, il budget cap e le regole di tutela finanziaria, fanno sì che la F1 disponga di dieci team adeguatamente sani e competitivi in grado di mettere in pista due vetture per gara. Forse i tempi non sono ancora maturi per ampliare la griglia e puntare al ritorno del numero di partenti dei primi Anni Novanta.

Luca Colombo