In pochi forse sanno che nel passato di Bernie Ecclestone, ormai ex-proprietario del Circus (con l’avvento del colosso americano Liberty Media), figura anche l’acquisto nel 1958 della scuderia britannica Connaught, con cui lo stesso Ecclestone tenta – vanamente – di qualificarsi al Gran Premio di Monaco. Un’esperienza (fallimentare) che segna il futuro di pilota di quel folletto inglese, il quale decide prontamente di appendere il casco al chiodo… iniziando a studiare da manager. Campo, quest’ultimo, in cui ha fatto le migliori future.  

Risultati degni di noti nella doppia veste di piloti/costruttori si hanno negli anni ’60 Dopo aver vinto due titoli iridati al volante della Cooper, Jack Brabham decide di fondatore un proprio team nel 1962. Le prime stagioni sono avare di soddisfazioni (il massimo risultato ottenuto nella classifica finale è il 7° posto del ’63), ma nel 1966 – sfruttando anche il cambio di regolamento, con l’aumento della cilindrata che passa da 1500 a 3000 cc - arriva l’ambito traguardo: l’australiano conquista il mondiale, il terzo e ultimo in carriera. L’anno seguente, Brabham è spettatore protagonista dell’iride vinto dal compagno di squadra e connazionale Denny Hulme. Un boccone amaro da ingoiare per Brabham, che decide di allontanare dal team lo stesso Hulme. L’australiano finirà la carriera nel 1970, imponendosi nella prima gara stagionale in Sud Africa. Lascia la scuderia nelle mani del socio Ron Tauranac, che due anni dopo cederà a Bernie Ecclestone.

Anche Bruce McLaren segue il solco tracciato da Brabham (i due sono compagni di squadra nell’esperienza in Cooper) lanciando la Bruce McLaren Motor Racing Ltd nel 1963. Nonostante avesse costituito una propria scuderia, il neozelandese ci approda come pilota solo nel 1966, anno in cui la McLaren debutta in Formula Uno. La prima vittoria nella top class dell’attuale scuderia di Woking porta la firma proprio di Bruce, che vince sulla leggendaria pista di Spa nel 1968 guidando l’arancione M7A. McLaren continua ad ottenere buoni risultati in Formula Uno, fino all’incidente che gli costa la vita il 2 giugno 1970 sul tracciato di Goodwood, quando al volante della nuova M8 (vettura utilizzata nelle competizioni del Nord America) esce di pista e va ad impattare ad alta velocità contro una quercia.

Nel 1973, dopo aver conquistato due titoli iridati negli anni ‘60, Graham Hill decide di iniziare l’attività di costruttore – vista anche la mancanza di sedili di livello in quel determinato periodo – dando vita alla Embassy Hill, grazie anche all’aiuto economico derivante dalla sponsorizzazione dell’Imperial Tobacco. I risultati però sono al di sotto delle aspettative, con il team che conquista solo quattro punti in tre stagioni, di cui il primo di questi ottenuto proprio da Hill nel Gran Premio di Svezia 1974. Al termine del campionato 1975 la scuderia britannica chiude i battenti, a causa della tragedia che vede protagonista il proprio fondatore perire in un incidente aereo il 29 novembre 1975. Con Hill, che qualche mese prima aveva deciso di appendere il casco al chiodo dopo la gara di Monaco, dove non era riuscito a qualificarsi, muoiono diversi tecnici del team e il suo pupillo Tony Brise.

Gli anni ’70 sono l’ultimo decennio che vede affacciarsi sulla scena i cosiddetti piloti/costruttori. Dopo Hill, scommettono su questo duplice ruolo sia Wilson Fittipaldi che Arturo Merzario. Con la partnership della Copersucar (azienda brasiliana leader nella produzione di zucchero) il fratello del due volte campione del mondo Emerson fonda questa scuderia tutta verde-oro, che partecipa al suo primo campionato di Formula Uno nel 1975. La prima stagione nella top class è un autentico fiasco, con Wilson – unico pilota del team – che a Monza viene sostituito proprio da Merzario. Al termine di quell’annata, Wilson Fittipaldi decide di ritirarsi lasciando il sedile al blasonato fratello, proveniente dalla McLaren. Con Emerson il team brasiliano ottiene il risultato più importante della sua storia, grazie al secondo posto nel Gran Premio del Brasile 1978 disputato sul tracciato di Jacarepaguá. Con l’addio dei proventi derivanti dalla sponsorizzazione della Copersucar (1980), la scuderia verde-oro va incontro ad una fine lenta e inesorabile che avviene al termine del 1982.

Non più fortunata si rivela l’esperienza di Arturo Merzario che, con pochi mezzi economici a disposizione, e dopo aver saltato le prime gare del 1977 per infortunio, si ripresenta in pista da privato alla guida di una March 761B. L’anno seguente debutta con una propria vettura, ma a stento riesce a qualificarsi alle gare non vedendo mai la bandiera a scacchi. Al termine del 1979, Merzario saluta la compagnia ed emigra col suo team nelle categorie minori. Anche in quel caso, l’avventura da costruttore dura pochi anni, esaurendosi nel 1984. Ma l’adrenalina da corsa e lo spirito da competizione non hanno mai abbandonato Merzario, il quale ancora oggi si cimenta in gare di un certo livello alla veneranda età di 73 anni. 

Piero Ladisa

 

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