“Mi chiamo Carroll Shelby, e costruisco macchine da corsa”, proclama Matt Damon nel bellissimo 'Le Mans ’66 - La grande sfida'. E questa potrebbe essere la sintesi perfetta per la vita del grande costruttore americano, che proprio oggi avrebbe compiuto cent’anni. Un nome, quello di Shelby, legato a filo doppio con il mondo delle corse americane e, fatalmente, a quello della gara di durata più famosa del mondo, giustamente celebrata da Hollywood nel film del 2019 diretto da James Mangold. Ma Le Mans è solo una parte dell’avventura nel mondo racing del texano, uno di quei personaggi che ha senza dubbio contribuito ad esportare oltreoceano il mito del modello americano.

Dall’allevamento di polli alla Sarthe

L’ambiente in cui nasce Shelby l’11 gennaio del 1923 è quello rurale di Leesburg, Texas. Una famiglia semplice, contadina, dove fino al 1952 lo stesso Carroll si dedica all’allevamento di polli. Ma la passione per le corse è fortissima, come dimostra il fatto che sin dall’età di 10 anni era solito inforcare la propria bici per assistere alle gare nei dintorni di Dallas.

Un uomo con la velocità nel sangue, che durante la guerra pilota anche i B-29, le Fortezze Volanti delle Forze Armate USA. A 29 anni, finalmente, arriva l’esordio dietro a un volante, alla guida della MG TC dell’amico Ed Wilkins in alcune gare locali. Due anni più tardi, nel ’54, Shelby si trasferisce oltreoceano, andando a disputare diverse gare di durata in Europa, tra cui, per la prima volta, la 24 Ore di Le Mans, in coppia con Paul Frére sull’Aston Martin Lagonda.

La vittoria nella classicissima della Sarthe arriva cinque anni più tardi, sempre alla guida della vettura inglese, insieme a Roy Salvadori, impressionando in particolare nelle frazioni notturne. Nel frattempo, non si era fatto mancare anche alcune apparizioni in F.1 con l’italianissima Maserati. Qualche anno più tardi, però, un problema cardiaco lo costringe a smettere di correre. Quella che potrebbe sembrare la fine di una bella storia, in realtà, si tramuterà nell’inizio della leggenda.

Shelby American, e arriva la Cobra

Durante la sua permanenza in Europa, Shelby ha modo di visitare e studiare le factory di alcuni dei maggiori produttori di telai del mondo racing. In particolare, fissa lo sguardo e l’interesse sull’inglese AC-Ace. Tornato in patria, fonda la Shelby American, dedicandosi alla preparazione e alla customizzazione di vetture sport nell’area di Los Angeles. E proprio partendo da questa esperienza, riesce a dare forma a quello che negli anni diventerà il simbolo di un’epopea: la Ac Cobra.

L’intuizione che darà i natali ad una delle vetture più popolari di quegli anni è tanto semplice quanto geniale. In pratica, si tratta di posizionare il potente V8 Ford da 3.6 e 4.3 litri all’interno dei dismessi telai AC. È un successo, e già dal ’63 la AC Cobra 427 inizia a gareggiare in America, per poi spostarsi in Europa a partire dalla stagione successiva nelle classi GT. Addirittura, nel ’65 la Cobra vince il titolo Mondiale riservato alle vetture Gran Turismo; non male per un marchio nato da pochi anni.

La partnership con Ford e la sfida con Ferrari

I successi della compagine di Shelby, spinti dai propulsori Ford, non possono passare inosservati a Detroit, in particolare negli uffici di Henry Ford II e del suo uomo marketing, Lee Iacocca. Il manager statunitense, ansioso di battere finalmente la Ferrari e rilanciare sul mercato l’immagine dell’Ovale Blu, oltre a chiamarlo per rilanciare la Mustang, decide quindi di coinvolgere sempre più Shelby American nel proprio programma racing, in particolare per quanto riguarda le grandi classiche come Daytona, Sebring e, ovviamente, la 24 Ore di Le Mans.

La collaborazione porta, nel ’65, alla creazione della capostipite di una di quelle macchine che entreranno per sempre nella storia e nell’immaginario collettivo: la Ford GT40. Quell’anno la Classica della Sarthe sfuma per problemi al cambio, ma è il 1966 ad entrare nella storia. Questo grazie soprattutto all’evoluzione della GT40, la Mark II, e al lavoro incessante dei collaudatori tra cui spicca Ken Miles, vero e proprio pilota feticcio di Shelby.

La tripletta con l’arrivo in parata a Le Mans entra nella storia, mentre il ’67 vede altri trionfi a Daytona, Sebring e, ovviamente, in Francia, dove Dan Gurney darà il via alla tradizione della “doccia di champagne”. Nel frattempo, però, Miles muore in un test a Riverside mentre testa un nuovo tipo di scocca a nido d’ape: un duro colpo per Shelby, che nell’inglese aveva trovato un vero e proprio alter ego al volante. Questo, però, non lo ferma, e la storia della Shelby American continua, anche oltre la collaborazione con Ford.

Tanti progetti con un denominatore comune

La grandezza di Carroll Shelby e della sua opera è sotto gli occhi di tutti. C’è un dato fondamentale: il texano ha collaborato con tutti i tre grandi gruppi dell’automotive americano. Di Ford si è detto, anche se vi sarebbe da scrivere un libro intero sull’argomento, sottolineando anche il ritorno di fiamma dei primi anni 2000 con i nuovi Ford-Shelby Colba Projects a ridare linfa vitale al sogno dei mitici anni ’60, oltre al ruolo di consulente al momento nel ritorno nel mondo delle competizioni GT.

Ma Carroll unisce le forze anche con Oldsmobile e, soprattutto, Dodge. In particolare, in questo caso gioca un ruolo fondamentale Lee Iacocca, nel frattempo diventato chairman del gruppo, che già lo aveva fortemente voluto ai tempi della Mustang. Sono innumerevoli le vetture che portano in un modo o nell’altro la firma di Shelby. Su tutte domina la Viper, ancor oggi fiore all’occhiello della Casa.

Un uomo in perenne movimento, e mica solo nel mondo dei motori; basti pensare che si è sposato ben sette volte! Un personaggio unico, che ha saputo toccare i cuori degli appassionati non solo e non necessariamente per i risultati ottenuti, proprio no. Nei suoi 89 anni di vita, Carroll Shelby è entrato di forza nell’immaginario collettivo per le sue macchine, per i suoi cappelli da cowboy, per il suo essere così tanto americano da farlo sembrare uno di noi, per sempre. Per capirlo basta guardare la Cobra, la sua creatura prediletta, e pare di sentirlo mentre, con orgoglio, scandisce ancora una volta: “Mi chiamo Carroll Shelby, e costruisco macchine da corsa”.

Nicola Saglia