10°: Chaz Davies (WSBK) – Nella nostra personale classifica è Chaz Davies ad aprire le danze. Questo perché il fallimento di quest’anno era quasi preannunciato: con una moto ormai al termine dello sviluppo c’è poco che Davies avrebbe potuto fare contro un Jonathan Rea oramai inarrivabile. Ma è mancata quella verve che comporta la competizione stessa, e degli scontri tra i due visti nel 2017 quest’anno se ne è vista a malapena l’ombra. Cura V4?

9°: Thomas Luthi (MotoGP) – L’elvetico è stato il primo a dire “La MotoGP è troppo difficile”, ma il dubbio è che quella dichiarazione coprisse le difficoltà del team Marc VDS, che per buona parte dell’anno è stato al centro di vari scandali. È però purtroppo vero che Luthi ha concluso la stagione con uno zero assoluto sul tabellone dei punti, e questo per un pilota come lui non può accadere. Rimandato al 2019.

8°: Fabio Quartararò (Moto2) – La stagione di Fabio non è stata da buttare, anzi: sarebbero in tanti a gradire la decima posizione finale in Moto2, che sarebbe stata la quinta senza la squalifica di Motegi (0,02 bar sotto la pressione obbligatoria del pneumatico posteriore…). Il problema è che Quartararò è approdato al Motomondiale con delle aspettative da parte del pubblico enormi, tanto da essere dato come vincente alla sua prima stagione in Moto3. Ora arriva alla MotoGP con soli quattro podi e una vittoria in quattro anni: la collina da salire è decisamente ripida.

7°: Shane Byrne (BSB) – Shakey non ha sicuramente la fortuna dalla sua parte. O meglio, gli infortuni danno, gli infortuni tolgono: nel 2017 fu Leon Haslam a farsi male e Byrne a conquistare il titolo all’ultima gara. Quest’anno la cosa è stata diametralmente inversa, ma con molto più anticipo visto che Shakey ha saltato metà calendario e soprattutto ha perso la sua sella nella top class del British Superbike. Potrebbe essere la fine di una brillante carriera: ora sta a Byrne rialzarsi e far vedere che non è ancora finita.

6°: Aron Canet (Moto3) – Canet è una via intermedia tra Fabio Quartararò e Shane Byrne. Dopo la terza posizione finale del 2017 lui doveva essere tra i pretendenti al titolo del 2018, o sicuramente entro i primi tre. Invece l’infortunio alla clavicola, oltre ad un insieme di errori visti durante la stagione, lo hanno relegato alla sesta piazza finale e soprattutto a 132 punti da Martin. È mancato lo step che lo avrebbe dovuto traghettare nell’olimpo: lo vedremo nel 2019?

5°: Bradley Ray (BSB) – Il pupillo coccolato di Suzuki, “Telespalla Bob” (come è stato simpaticamente rinominato) è partito forte, fortissimo. Con la doppietta di Donington Park ed uno stile di guida amato sin da subito, Ray si è impadronito a forza del titolo di outsider per la conquista dell’alloro inglese, salvo poi affossarsi in una situazione di mediocrità. A nulla è servita la presenza alla 8H di Suzuka, conclusa ai margini della top10: Bradley non è riuscito a risollevare il suo 2018 fino alla fine. Adesso che il campione BSB Leon Haslam è migrato nel Mondiale, bisogna ritornare lì davanti e dimostrare che non è una promessa non mantenuta.

4°: Lucas Mahias (Supersport) – Considerando quanto Mahias sia incolpevole nella sconfitta per il titolo mondiale Supersport 2018, è quasi difficile includerlo in questa lista. Eppure non considerarlo un flop non è possibile: il carrozziere francese non aveva solo tutte le carte in regola per vincere il titolo, ma era addirittura lo stra-favorito per la prima piazza. Poi sono arrivati problemi tecnici, gomme a terra ed una sfortuna che avrebbe sconfitto anche Marc Marquez. Dalla sua, Lucas può dire di non aver mai mollato di un centimetro, cosa che gli tornerà utile l’anno prossimo con la Kawasaki orfana di Kenan Sofuoglu.

3°: Team YART EWC (Endurance) – Non c’è nulla da fare. Hanno ottenuto in dote Niccolò Canepa, hanno rivisto l’ordinamento interno, hanno cambiato metodo di lavoro ma niente: lo Yamaha Austria Racing Team continua a non ottenere i risultati che dovrebbe conquistare senza uno sforzo immane. Formazione di riferimento della Yamaha al posto di GMT 94, nella 24H di Le Mans sono stati costretti al ritiro mentre un esordiente Wepol Penz13 entrante in orbita Iwata dopo anni di BMW portava la R1 sul podio. Male, ma a tratti malissimo.

2°: Sam Lowes (Moto2) – Una seconda posizione meritatissima per quanto riguarda uno dei gemelli Lowes, per la precisione quello del Motomondiale. Lo ricordiamo battagliare e vincere con Sofuoglu nella Supersport iridata di qualche anno fa, poi il nulla cosmico: licenziato in MotoGP, niente da fare in Moto2, una quantità di carene distrutte che potrebbe essere sufficiente a costruirci una casa. Se non cambia mentalità, non ha senso continuare a correre...

1°: Scott Redding (MotoGP) – Qui subentrano anche i Social Network. Lo Scott in Ducati non ha nulla a che vedere con lo Scott in Aprilia, che decisamente non lo ha aiutato a rimanere sulla cresta dell’onda e a portare a casa qualche risultato. Ma la faccenda dei commenti al veleno e delle susseguenti scuse per potersi tenere il ruolo di tester (peraltro non confermato) ha lasciato una brutta impressione di Redding, che tutt’ora continua a parlare della situazione nel Motomondiale come disastrosa. Se i suoi argomenti possono essere considerati validi, il contesto in cui lui li espone lo fa solo sembrare carico di astio. E questo non getta buona luce né su lui, né sullo sport. Vediamo se la “cura BSB” funziona...

Alex Dibisceglia