All'indomani della gara di Singapore, il tema che ha suscitato maggiori discussioni non è stata l'ennesima dimostrazione di superiorità da parte di Vettel e della Red Bull, bensì l'ammonizione inflitta ad Alonso e Webber per il famoso "autostop" a fine Gran Premio. La decisione dei Commissari di intervenire per punire un gesto che fa parte della cavalleria dello sport dei motori, forse uno degli ultimi in grado di restituire alla Formula 1 un aspetto umano, ha scatenato aspre reazioni da parte degli appassionati e l'ironia degli stessi piloti. Ci ha pensato per primo lo stesso Fernando Alonso, il quale ha pubblicato su Twitter un fotomontaggio che ritraeva lui ed il collega nella locandina del film "Taxi" del 2004, accompagnato dall'inequivocabile "Ehi Mark, sei pronto per Hollywood?". Anche Webber ha accolto con ironia la vicenda, anche se per lui gli effetti della sanzione potrebbero essere ben più pesanti. Il pilota australiano, difatti, rischia di subire un arretramento di 10 posizioni sulla griglia del prossimo Gp di Corea, essendo questa per lui la terza ammonizione stagionale. La Red Bull ha preannunciato reclamo, pertanto la sanzione verrà discussa alla vigilia della prossima gara. Ma, nonostante tutto, Webber non ha perso il senso dell'umorismo, replicando sul proprio profilo: "Ricevere un'ammonizione per un fatto del genere mi sembra comico. E' stato un grande momento, ed i fans lo hanno apprezzato". A seguire, una bella foto con un collage di alcuni dei "passaggi" più famosi dati al termine delle gare in passato, per finire con la chicca finale: Derek Warwick, ovvero uno dei tre giudici di Singapore, immortalato a cavalcioni sulla Ferrari di Gerhard Berger dopo la gara di Suzuka, in una foto datata 1988. Eloquenti le parole del pilota Red Bull: "Sembra che anche uno degli stewards di Singapore lo abbia già fatto...c'est la vie". Tutto molto spassoso, non c'è che dire. Se non fosse che le regole ultra-rigide imposte nel corso degli anni dalla Federazione stiano davvero sfiorando il ridicolo. Dopo le voci, circolate nei giorni scorsi, che vedrebbero la Fia intenzionata ad elaborare una norma che impedisca ai piloti di cambiare la...colorazione del casco ad ogni gara, facenti seguito a quelle che vorrebbero censurare i tweet troppo "spinti" (vedi il caso scoiattoli della Lotus all'indomani dell'annuncio Raikkonen-Ferrari...), in vista della Corea si starebbero studiando misure volte ad impedire per regolamento ai piloti di raccogliere a fine gara eventuali colleghi rimasti appiedati. In realtà, a ben vedere, il provvedimento di Singapore è scattato non tanto per il passaggio in sè, quanto per il fatto che Alonso si fosse fermato in mezzo alla pista in una posizione pericolosa, mentre Webber sarebbe entrato senza l'autorizzazione dei commissari. In seguito lo stesso australiano ha rincarato la dose, sottolineando sempre su Twitter che nessuno dei commissari gli avrebbe in realtà impedito l'accesso alla pista, mentre è intervenuto sulla questione anche Jenson Button, il quale ha criticato la sanzione dei Commissari, sottolineando però che Alonso avrebbe potuto fermarsi in una posizione più sicura. Ma il punto è un altro: nella Formula 1 iper-moderna, dove tutto è inaccessibile e ultra-regolamentato, il fatto di aver punito uno dei pochi gesti ancora in grado di rievocare un passato che non c'è più rappresenta per la Federazione un autogol clamoroso. Cosa c'è di male nel vedere un pilota che offre aiuto al proprio collega meno fortunato, magari dopo aver fatto a ruotate rischiando (in quel caso, sì...) la pelle in pista? La Formula 1 potrebbe trarre solo un beneficio alla propria immagine attraverso gesti del genere che invece, in preda ad una insensata logica, rischiano di venire banditi per regolamento. Che cosa avrebbero dovuto fare, allora, ai tanti piloti resisi protagonisti di un siparietto simile nel corso degli anni? Da Senna a Schumacher, da Mansell a Coulthard, per non parlare di Nelson Piquet, che a fine Messico '86 caricò sulla propria Williams addirittura tre piloti: Stefan Johansson, Philippe Alliot e Renè Arnoux. Già, proprio altri tempi...

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