A otto anni dalla scomparsa di Roberto Nosetto, storico uomo di Ferrari, la moglie Renata ha voluto dedicare un libro alla vita e alla carriera del suo amato marito: “Giù la visiera e piede a tavoletta. La vita di Roberto Nosetto, il Sogno Ferrari, la Formula 1 e il cammino verso Il Destino”.

Roberto Nosetto, nato a Torino nella 1942, dopo la laurea al Politecnico di Torino nel 1968, passa la sua vita nel motorsport, dapprima come direttore sportivo della Ferrari di Lauda e Villeneuve nel 1977, e poi come direttore dell'autodromo di Imola dal 1979 al 1990.

Il suo contributo è di vitale importanza; infatti il torinese migliora di molto il circuito sulle sulle rive del Santerno, con un occhio attento alla sicurezza del tracciato, in anni in cui il la sicurezza non era di certo elemento principale del motorsport.

Termina la sua carriera con due incarichi di prestigio; prima direttore di gara nel moto mondiale, poi nella SuperBike. Sempre con sua moglie Renata accanto, la quale ricopre negli anni ruoli di prestigio all'interno del mondo dei motori, partendo da umili mansioni.

La domanda più semplice: chi era suo marito?

Era la persona che descrive Ferrari nella sua intervista dopo il GP di Imola. Onesto, serio, poco incline ai compromessi ma soprattutto appassionato, innamorato della Ferrari, di Ferrari e del mondo motoristico, del suono dei motori, degli odori del paddock, dei piloti e degli uomini senza paura. Scrisse la prima lettera a Ferrari giovanissimo dicendogli "Voglio diventare ingegnere e lavorare con lei". E’ stata dura ma ha coronato il suo sogno senza deviare di un millimetro.

Nel suo libro parla tanto di Gilles Villeneuve, raccontando anche degli aneddoti della carriera del canadese. Che ricordi ha del piccolo aviatore?

Gilles per noi era come un figlio: puro, sincero, schietto, fedele. Aiutò Scheckter a vincere il mondiale perché pensava che era giusto così e poi l’anno dopo l’avrebbe vinto lui…Questo era Gilles. Non sapeva cosa volesse dire la paura, credo che non l’abbia mai provata.

Ci raccontò un giorno dopo uno dei tanti incidenti, proprio a Imola, che l’autodromo si ammutolì; lui alzò le braccia per far vedere che era vivo e il pubblico esplose in un boato ma in quel momento era cieco. La targa posta al suo monumento a Imola riporta ciò che Ferrari pensava di lui: "Io gli volevo bene".

Anche noi gliene abbiamo voluto e gliene vogliamo ancora. Al monumento c’è anche una frase di mio marito. "Da Gilles ho imparato a non darsi mai per vinti". Questo era Gilles, mai darsi per vinto su 3 ruote, senza alettone, mai mollare e tutti l’hanno capito e ancora oggi c’è la febbre Villeneuve.

Non posso non chiederle di quella cravatta verde che era il segno distintivo dell’ingegnere. Aveva un significato particolare?

Un giorno Roberto era a pranzo con Ferrari che sfoggiava una magnifica cravatta verde, mio marito amava il verde che nei colori significa speranza. Ad un certo punto Ferrari si tolse la cravatta dicendo: "Nosetto smetta di guardarmi la cravatta, gliela regalo!" E da quel momento divenne il suo simbolo.

Roberto Nosetto nominato come perito nel processo Senna: deve essere stato difficile per lui lavorare con quell'immensa pressione mediatica che portava in dote quel processo...

Sì, fu molto duro anche per la pressione mediatica, ma soprattutto perché doveva giudicare il suo circuito. Perché Imola F1 l’aveva creata lui, costruendo i box, la meravigliosa torre Marlboro, le tribune, le barriere di sicurezza, ecc… Quel muretto che salvò la vita a Gilles, Matitaccia lo immortalò in un acquerello con Villenenuve incerottato sul sedere mentre scrive W Nosetto. Anche Piquet e altri si salvarono.

Questo per lui fu molto duro. All’epoca si parlò di banchina non complanare alla pista, cosa che risultò non vera. Se avesse trovato qualcosa di sbagliato, non avrebbe esitato a mettere nero su bianco, o meglio verde su bianco, dal momento che usava sempre un inchiostro verde.

Ci racconta il suo personale lavoro nel motorsport e qualche aneddoto del presidente della FIA Jean-Marie Balestre ?

Iniziai come sua aiutante a Imola; rispondevo al telefono , facevo le fotocopie, non pagata naturalmente. Poi decidemmo che non avremmo avuto figli per poter stare sempre insieme e così cominciai dalla gavetta, ma non come moglie di Nosetto, in sordina, piano piano con i suoi insegnamenti.

Ad Imola mi occupavo degli sponsor e poi del capo ufficio stampa F1. Ho anche fatto l’amministrazione per Ecclestone a Phoenix, quindi nelle moto. Insomma sempre insieme casa, poco, e lavoro per 53 anni.

Balestre io lo chiamavo Re Sole perché veramente si sentiva così e si comportava così. Ricordo che c’era la Guerra del Golfo in quel periodo, e gli americani facevano arrivare le bare dei soldati caduti all’aeroporto di Phoenix dove si correva il Gran Premio USA, perché era isolato ai piedi del deserto, poi venivano smistate nei vari luoghi di residenza dei caduti. Era più soft per la popolazione americana, una cerimonia sobria e intima. Balestre a tutti i costi volle essere presente per salutarli. Fu molto duro convincere i militari addetti alla cerimonia che non capivano chi fosse Balestre. Non accettarono all'inizio ma alla fine cedettero e Balestre si schierò con il picchetto, le bandiere ai piedi dell’aereo a portellone aperto da cui scendevano le bare, rimase sull'attenti per tutta la cerimonia riuscendo persino al termine a stringere le mani a tutti. Non dimenticherò lo sguardo perplesso dei militari….

Renata Nosetto segue ancora il motorsport?

Certamente, anche se non è più quello dei nostri tempi. Troppa tecnologia, troppe regole, pochi duelli alla Arnoux-Villeneuve indimenticabili, circuiti dove bisognava avere il manico come Spa-Francorchamps, Silverstone, Imola, adesso sono quasi tutti tecnici. Anche il suono, la musica dei motori non è più la stessa; però quando scatta la F1 o le moto io sono davanti al televisore e nessuno mi schioda.

 

Ecco alcune immagini della presentazione del libro

 

Francesco Magaddino