Storie d’estate | Vettel, la Sachs e il sogno infranto
Sette anni fa, la gara che segnò l'inizio del calvario di Sebastian Vettel, finito nella sabbia di Hockenheim mentre inseguiva il titolo con la Rossa.

Sebastian Vettel era arrivato in Ferrari tre anni prima con un solo obiettivo: vincere il titolo con il team del Cavallino Rampante e entrare di diritto nella leggenda. Il 2018, dopo che l’anno precedente l’alloro iridato era stato solo sfiorato, sembrava essere finalmente pronto per regalare la gioia più grande al tedesco e ai fan suoi e della Rossa. Fino a quel 22 luglio, quando il Gran Premio di Germania di Seb finì anzitempo contro le barriere della Sachs, una delle curve più note e insidiose dell’Hockenheimring.
La stagione della Rossa e di Sebastian
Il target dichiarato per Vettel e la Ferrari ad inizio stagione era per forza quello, se non di vincere, perlomeno di dare battaglia fino all’ultimo giro di Abu Dhabi ai dominatori assoluti di Mercedes. Lewis Hamilton l’aveva spuntata ancora alla fine del 2017, aiutato sotto certi punti di vista da una Rossa che sul più bello iniziò a non essere per nulla affidabile, e lasciò il tedesco con le armi spuntate a combattere contro i mulini a vento, per l’occasione dipinti d’argento. Maurizio Arrivabene e i suoi uomini, spronati dal presidentissimo Sergio Marchionne, avevano dunque tutta la voglia di rifarsi subito e spezzare quello che sembra essere diventato ormai un vero e proprio tabù.
Le prime due gare dell’anno sembravano finalmente essere foriere di buone notizie. Sebastian Vettel portò a casa due nette vittorie in Australia e Bahrain, con una Ferrari SF71H decisamente veloce e in grado di assecondare al meglio lo stile di guida del tedesco. Logico, in seguito nessuno degli inseguitori rimase a guardare, e ben presto Red Bull e, soprattutto, Mercedes iniziarono a riprendere il ritmo. Qualche errore del tedesco iniziò a fare capolino, fino alla giornata memorabile di Silverstone, con quel successo “a casa loro”, come lo stesso Seb rimarcò via radio una volta tagliato il traguardo. La gara inglese sembrò essere il prodromo di una vera e propria marcia trionfale, visto il livello mostrato dalla Rossa e la leadership nella classifica piloti; le cose, però, andarono ben diversamente, come tutti ben sappiamo.
Un urlo strozzato in gola a 16 giri dal termine
Il fine settimana tedesco si presentò già particolarmente complicato a causa delle condizioni meteo variabili presenti nel cielo plumbeo dell’Hockenheimring. Le qualifiche contribuirono, nonostante tutto, a rimpolpare le buone sensazioni in casa Ferrari, con il padrone di casa in pole position davanti a Bottas e al team mate Kimi Raikkonen. Ma, soprattutto, a portare ottimismo nel box rosso fu il non passaggio del Q2 da parte di Lewis Hamilton, fermo lungo la pista a causa di un problema idraulico in seguito ad un passaggio aggressivo su uno dei cordoli di Hockenheim.
Lo start della gara, domenica 22 luglio, vide poi il tedesco scattare alla perfezione mantenendo saldamente la leadership, mentre alle sue spalle il campione del mondo in carica iniziava la sua rimonta furibonda dalla 14° posizione. La pioggia continuava ad incombere, e intorno al 40° passaggio iniziarono a registrarsi le prime gocce nella zona dello Spitzkhere, il secco tornante che riporta i piloti nel vecchio e mitico tratto della pista, resa monca in maniera criminale a partire dal 2001 a causa di questioni legate agli sponsor. Nulla però sembrava creare particolari problemi al leader, fino a quel maledetto 52° giro.
Qualcuno ipotizzò che in quel punto ci fosse qualche goccia d’olio lasciata dalla Williams di Sirotkin. Difficile da dire, fatto sta che ad un tratto le immagini andarono a prendere la Ferrari #5 di Vettel contro le barriere esterne della Sachs, tornante con un leggero banking situato nella sezione del Motodrom, che immette sul rettilineo dei box. Un’immagine sportivamente tragica nella sua intensità: le ruote insabbiate che giravano inutilmente, nel tentativo estremo del pilota di liberarsi dalla sabbia e tornare in pista, i pugni dello stesso Vettel sul volante e la resa sconsolata finale. A coronamento di tutto ciò, qualche minuto più tardi, Lewis Hamilton che, sotto una pioggia adesso battente, andava a festeggiare il successo e la leadership in campionato, dopo una straordinaria rimonta.

Insomma, per Vettel e la Ferrari un brusco risveglio dopo i sogni di gloria cullati nei giorni precedenti. Una volta giunto nel paddock, Seb commentò laconicamente l’accaduto.
Si è trattato di un piccolo errore pagato a carissimo prezzo. Senza dubbio, è la sbavatura più costosa della mia carriera.
L’inizio della fine di Baby Schumi?
Possiamo dire che quel giorno segnò l’andamento del resto della stagione e, di conseguenza, dell’esperienza di Sebastian Vettel in Ferrari, dapprima accolto come un re e poi oscurato dalla stella di Charles Leclerc? C’è chi ritiene che ciò non sia corretto, soprattutto considerando che, un mese più tardi, lo stesso Seb andò a vincere a Spa-Francorchamps mettendo in pista una prestazione maiuscola. Certo è che quello fu l’ultimo spunto di un Vettel divenuto, dopo quel maledetto 22 luglio, l’ombra di sé stesso.
Iniziò infatti quello che è stato poi il lungo addio alla Rossa, con i testacoda clamorosi di Monza, Austin e Suzuka, che segnarono definitivamente la fine del campionato, ormai indirizzato ancora una volta verso Brackley, e in fin dei conti del feeling unico che si era venuto a creare tra Seb stesso e gli uomini e i tifosi di Maranello. A questo, poi, si sommeranno i rovesci ulteriori in pista e la scomparsa del presidente Marchionne. A fine stagione, Seb sarà confermato, ma saluteranno Kimi Raikkonen per far spazio a Leclerc e, soprattutto, il team principal Maurizio Arrivabene, sacrificato per calmare le acque dopo l’ennesima stagione senza successi per far spazio a Mattia Binotto.
Senza quel lungo alla Sachs, le cose sarebbero andate diversamente? È sicuramente lecito chiederselo, così come è praticamente impossibile rispondere. Certo, una vittoria in casa avrebbe spinto Vettel in classifica ben più avanti e non lo avrebbe portato a commettere tutti quegli errori successivi, figli di un nervosismo innescatosi proprio a Hockenheim. Per quanto riguarda la vittoria finale del campionato, però, sarebbe stata comunque tutta un’altra storia, vista la competitività mostrata da Mercedes da Spa in poi. Fatto sta che, da qualsiasi parte la si voglia vedere, il 22 luglio è a suo modo una data storica per la F1, perché ha cambiato per sempre la carriera di un quattro volte campione del mondo, che ha accarezzato per qualche tempo la leggenda, senza però riuscire ad agguantarla. Un po’ quello che oggi sta succedendo al suo arcirivale, a ben guardare.
Nicola Saglia