IL VECCHIO HOCKENHEIM. Con i lavori di ammodernamento, voluti per questi commerciali e di visibilità, il circuito tedesco ha perso tutto quel fascino che in passato lo ho reso celebre e unico. Un po’ come se ad alcune tele di Van Gogh o di Picasso venissero applicate delle modifiche con le moderne tecniche pittoriche: perderebbero senza dubbio l’originaria bellezza. Tra le parti della pista appartenenti ormai all’album dei ricordi spicca la parte del lungo rettilineo, immerso nella Foresta Nera, che rappresentava uno dei tratti più suggestivi, dove le vetture raggiungevano velocità impressionanti vicine ai 350 km/h. Interrotto dalla Clark, variante in discesa che immetteva le monoposto in un secondo tratto veloce che portava alla staccata della chicane Ost. Nuova breve discesa e allungo – interrotto nel mezzo solamente dalla chicane Senna – che conduceva alla parte del tracciato presente ancora oggi, il Motodrom: il tratto guidato di curve che riporta sul rettifilo principale.

I DRAMMI. Nel corso della sua storia, il veloce tracciato di Hockenheim è stato purtroppo teatro di incidenti mortali o che hanno costretto i piloti ad interrompere la propria carriera. Ad aprire la lista fu Jim Clark: il fenomenale pilota scozzese, vincitore di due titoli iridati, trovò la morte il 7 aprile 1968 durante una gara di Formula 2. A causare l'incidente dello scozzese fu molto probabilmente un guaio meccanico (forse una foratura), anche se le cause non furono mai accertate, con la monoposto che compì diverse voli prima di terminare la sua folle corsa tra gli alberi. Successivamente, quel tratto di pista denominato “Coda di gambero”, prese proprio il nome del compianto Clark. Dopo dodici anni dalla scomparsa dello scozzese, ad Hockenheim la F1 pianse un altro figlio: Patrick Depailler, deceduto nel corso di una sessione di test privati. Anche in questo caso, come per Clark, le cause dell’incidente non trovarono riscontri certi. Al volante della sua Alfa Romeo il pilota francese perse il controllo all’altezza della Ostkurve, andando a sbattere violentemente contro le barriere metalliche, riportando ferite fatali a testa e gambe. Due anni dopo il decesso di Depailler, la classe regina del motorsport fu sconvolta il 7 agosto 1982 dal dramma di Didier Pironi. Il pilota francese della Ferrari (a Maranello erano ancora scossi dall’incidente che tre mesi prima aveva causato la morte di Gilles Villeneuve), nel corso delle prove libere del sabato, svoltesi sotto la pioggia, andò a tamponare la Renault di Alain Prost, con la 126 CK che a causa dell’impatto s’impennò ricadendo con l’avantreno sull’asfalto. Un impatto violentissimo che provocò svariate gravi fratture a Pironi, con il brasiliano Nelson Piquet che in un’intervista rilasciata al settimanale Autosprint descrisse così quei momenti terrificanti: “Quando mi sono avvicinato a Didier, lui gridava per il dolore e per la paura. Lo calmavo dicendogli che attorno a lui non c’era benzina, ma mi terrorizzai quando con i miei occhi vidi un osso della sua gamba uscire dalla tuta. Continuai a rassicurarlo, ma le sue gambe erano ridotte in poltiglia”. Il lungo intervento chirurgico a cui fu sottoposto Pironi scongiurò l’amputazione delle gamba destra, ma Didier non poté più tornare a gareggiare in F1. La passione per il motori e per la velocità non venne accantonata, col francese che decise di intraprendere una nuova vita professionale nella motonautica, dove trovò la morte in seguito al tragico incidente verificatosi il 23 agosto 1987 al largo dell’isola di Wight. Sliding doors del destino.

Piero Ladisa

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