Hunt “allergico” ad una vita normale, aveva fatto della propria esistenza un inno alla trasgressione: un mix di donne, sesso, alcol e motori. Al netto di una vita estrema praticata al di fuori dall’ambito professionale, in pista il compianto pilota inglese, nonostante il soprannome di “The Shunt” ("Lo  Schianto", ndr) per via dei numerosi incidentii che ne hanno contraddistinto la carriera, ha ottenuto fama e vittorie. La più importante e indimenticabile è chiaramente la corona iridata conquistata al termine del Mondiale 1976 alla guida della McLaren M23.

Un campionato epico e al tempo stesso drammatico, ricco di colpi di scena, nel quale Hunt riesce ad avere la meglio sul rivale Niki Lauda, protagonista suo malgrado del terribile rogo sulla vecchia pista del Nurburgring, laureandosi campione del mondo per un solo punto sul rivale austriaco nel round conclusivo della stagione disputato nel nubifragio del Fuji.  

Un successo che, nel perfetto stile Hunt, ne segna il punto di “arrivo” in carriera. Qualche anno dopo infatti l’inglese decidere di appendere il casco al chiodo, oramai demotivato e lontano da quel mondo che lo aveva portato alla ribalta mediatica. E così al termine del GP di Monaco, settima prova del Mondiale 1979, concluso con l’ennesimo ritiro a bordo della Wolf, tira i remi in barca. 

La vita all’interno dell’abitacolo non fa più per Hunt, ma il legame con il mondo della Formula Uno non si esaurisce. Infatti diventa opinionista per conto della BBC, raccontando il Circus fino al 15 giugno 1993.

Giorno in cui cala il sipario della sua esistenza terrena a soli 45 anni nella casa di Londra, lontano da quel palcoscenico degli eccessi che ne avevano caratterizzato il suo essere.

Senza mai dimenticare quell’antica predilezione verso il gentil sesso: infatti qualche ora prima della morte aveva chiesto per telefono la mano di Helen Dyson, una giovane ragazza conosciuta qualche tempo prima in un ristorante di Wimbledon. Un ultimo desiderio che il destino non permette a James di realizzare.

Piero Ladisa