Un episodio del podcast ‘Beyond The Grid’ non era mai stato così esteso come quello di questa settimana, dedicato ad Alex Zanardi. Ben 111 minuti di intervista per il pilota e paraciclista italiano, che ha spaziato tra avvincenti aneddoti sulla propria carriera e riflessioni sulla propria vita dopo quel fatidico 15 settembre 2001 al Lausitzring.

Molte persone mi fermano e mi chiedono ‘Non hai paura dopo quello che ti è successo?’. Perchè dovrei essere più spaventato ora che mi è già successo qualcosa? Non sono più vulnerabile di prima, anzi da un punto di vista statistico se deve succedere qualcosa, sarebbe più probabile che accadesse a qualcun altro. Anche se dovesse capitare a me, però, non posso perdere le gambe una seconda volta. Se se ne rompe una, basta un chiodo di 4mm per riaggiustarla”.

Se la personalità di Zanardi fosse una citazione, sarebbe il virgolettato appena riportato. Una sensazionale combinazione di autoironia, onestà e positività è ciò che ha reso l’episodio del podcast ufficiale della F1 sempre più avvincente, a partire dai retroscena sull’esordio in F1 con la Jordan nel 1991. A seguito del GP del Belgio il pilota italiano si trovò infatti conteso da Jordan e Benetton prima ancora del suo effettivo debutto in pista. Ed è proprio nel racconto di questa fase della sua carriera tra chiamate dai toni accesi con Briatore e la trattativa con Eddie Jordan che emerge l’inedita capacità di Zanardi di lasciare gli spettatori con il fiato sospeso, ormai completamente immedesimati nel ruolo di un promettente talento 25enne ‘squattrinato’ (come lui stesso si è definito) a un passo dalla massima categoria del motorsport.

La necessità di sponsor da parte dei team con cui Zanardi si troverà a trattare diventa il leitmotiv degli inizi del pilota italiano in F1, dapprima non confermato dalla Jordan e scartato dalla Tyrrell nonostante la considerazione da parte del fondatore Ken.

Zanardi infatti racconta le frenetiche 24 ore che lo portarono a volare da Venezia nel Regno Unito per presentarsi alla factory di Tyrrell, il quale gli concesse, dopo un’attesa lunga ‘5 litri di tazze di té’, una prova sedile nel caso in cui Andrea De Cesaris e i suoi sponsor a distanza di qualche giorno non fossero stati in grado di raggiungere un accordo.

Una seconda offerta arrivò poi da Flavio Briatore come collaudatore della Benetton, e l’Italia tornò protagonista nella vita di Zanardi con l’opportunità creatasi in Minardi a seguito dell’infortunio di Christian Fittipaldi.

L’anno 1993 al volante della Lotus iniziò con le migliori premesse e un contratto triennale, vanificato dall’impatto violento (oltre 240 km/h) a Spa.

“Ciò che mi ricordo di quel giorno sono solo i medici poco professionali che mi autorizzarono a correre, quando non riuscivo nemmeno a stare in piedi. Mi girava costantemente la testa e ha dovuto guidare la mia fidanzata Daniela per riportarmi a casa. Riuscivo solo a stare disteso con gli occhi chiusi dopo l’edema cerebrale”.

Il team decise tuttavia di mantenerlo nel ruolo di collaudatore dopo la sostituzione con Pedro Lamy, il quale fu vittima di un grave incidente in una sessione di test a Silverstone. Zanardi definisce tale avvenimento ‘un segno’, insieme ai numerosi incidenti che accaddero nel corso del 1994, annata maledetta per la F1 culminata con la morte di Ratzenberger e Senna nello stesso weekend.

L’addio alla F1 per Zanardi aprì la porta alla vera fortuna del pilota italiano, che nel 1996 iniziò a seguire il sogno americano con la CART.

Nel 1994 ho servito la Lotus in modo migliore rispetto all’anno precedente, nonostante la macchina non fosse competitiva. Le vittorie in America, però, mi hanno dimostrato che ero in grado di vincere ad ogni livello, anche in F1 se avessi avuto delle opportunità migliori”.

“Forse il mio errore più grande fu quello di non continuare con Ganassi” ammette Zanardi, riferendosi al ritorno in F1 nel 1999 con la Williams prima di rispondere al rimprovero di Patrick Head.

Ha ragione quando dice che non ero abbastanza devoto per avere successo con la Williams. Avrei potuto avvicinarmi di più al team, sviluppare una passione più intensa quando le cose non andavano. Sarebbe stato il momento di andare in Inghilterra, affittare una casa e stare a contatto con il team”.

“Il 1999 mi ha lasciato un sapore amaro. Avrei tanto voluto garantire il successo a Frank Williams. Avrei tanto voluto rendere felice quell’uomo. Alla fine dell’anno ho sentito la tentazione di ritirarmi dalle corse, volevo solo fuggire dal mio disastro e non mi sentivo a mio agio”.

L’addio definitivo alla F1 portò infine Zanardi al ritorno nella CART, ricordato per l’incidente al Lausitzring che cambiò radicalmente la sua vita. Un impatto ‘1000 volte inferiore’ a quello in Belgio nel 1993 ma con conseguenze di gran lunga più significative sulla sua vita. Zanardi definisce l’amputazione delle gambe “un’opportunità”, di rimettersi in gioco, affrontare nuove sfide e ispirare le persone.

Chi se ne frega delle mie gambe. Sono vivo! La cosa più naturale per me era concentrarmi su ciò che mi rimaneva invece di pensare a quello che già era accaduto e avevo perso”.

Quando ho superato il traguardo a Londra e ho vinto la medaglia d’oro, mi sono sorpreso perché ho sentito un senso di tristezza. Quei tre anni in cui mi sono dedicato al superamento di nuovi orizzonti sono stati fantastici, ero tornato il ragazzino che guidava il kart. E’ stato probabilmente il capitolo più bello della mia vita. Compiere quell’ultimo gesto al traguardo significava completare quel progetto, e all’improvviso ho realizzato che non mi interessava della medaglia d’oro in sè. Rifatemi fare tutto dall’inizio!”

Beatrice Zamuner