La Formula 1 moderna ha evidenziato, oggi più che mai, la propria allergia alla pioggia. Il valzer vistosi oggi a Melbourne, partito con la sessione di qualifica più volte ritardata a causa della pioggia e conclusosi con il rinvio finale a domani mattina, è apparso uno spettacolo quantomeno discutibile. D'accordo mettere al di sopra di tutto la sicurezza dei piloti, ma in passato abbiamo visto le vetture scendere in pista in condizioni ben peggiori rispetto a quelle presenti oggi sul circuito dell'Albert Park. A ben vedere, però, il trend degli ultimi anni è apparso in costante escalation: il binomio pioggia/Formula 1 sembra andare sempre meno d'accordo. Sono chiaramente lontani i tempi in cui i Cavalieri del Rischio degli anni '60, '70 e anche '80 si sfidavano in condizioni quasi impossibili a bordo dei propri bolidi. Ma parliamo di un'altra epoca: se le velocità, da un lato, in generale sono progressivamente aumentate, dall'altro le condizioni di sicurezza si sono fortunatamente evolute, con vetture e circuiti che garantiscono uno standard nettamente di un altro pianeta rispetto al passato. Nonostante ciò, specialmente negli ultimi anni alle prime goccie di pioggia è stata la Safety Car a diventare la protagonista assoluta: dalle numerose partenze lanciate, ai lunghi trenini durante le gare, sino ai tira e molla come quelli messi in scena oggi a Melbourne. A questo punto la domanda sorge spontanea: non si sta forse esagerando? La Formula 1 è certamente uno sport rischioso e, ripetiamo, garantire l'incolumità dei piloti rappresenta un'assoluta priorità. Ma chi lo spiega, ad esempio, al pubblico australiano che oggi ha pagato per vedersi solo 20' di prove? Ci sono inoltre diversi punti che lasciano perplessi. Innanzitutto, le gomme Full Wet sono state progettate proprio per smaltire un'enorme quantità d'acqua al secondo anche in condizioni estreme, riducendo così al minimo i rischi di acquaplaning. C'è poi l'aspetto del regolamento, con la discutibile regola del parco chiuso in vigore tra prove e gara, la quale vieta di variare l'assetto a seconda delle condizioni della pista: la direzione gara diventa così ostaggio degli stessi regolamenti della Fia, complici le pressioni esercitate dai team e da qualche pilota eccessivamente "viziato". Da considerare, inoltre, come negli ultimi anni le gare in estremo Oriente abbiano subito uno slittamento nel tardo pomeriggio per diventare più appetibili per gli orari televisivi europei, il che ha reso problematico qualsiasi spostamento per l'incombere dell'oscurità. Fossimo stati, infine, in un circuito da 250 orari di media, ad esempio Monza o Spa, la decisione sarebbe apparsa inopinabile: ma a Melbourne, un tracciato cittadino da alto carico aerodinamico, era davvero così azzardato riuscire a far concludere le prove? Possibile che ad intimorire Charlie Whiting, team principal e piloti sia bastato qualche cordolo scivoloso e la segnaletica cittadina presente sull'asfalto? Lo si vada a chiedere ai vari Stewart, Lauda, Prost, Piquet. La pioggia ha da sempre rappresentato una sfida capace di esaltare le doti di guida dei piloti in condizioni precarie, durante la quale i migliori riescono ad adattare il proprio stile di guida alle condizioni della pista. Ma probabilmente, per capire meglio il paradigma del pilota-moderno, basterebbe ad esempio ricordare le parole pronunciate l'anno scorso da Petrov, il quale definì il Mugello "pista inadatta alla Formula 1", perchè a suo giudizio troppo pericolosa. Per fortuna non tutti la pensano così. Ma andando avanti di questo passo, si finirà per correre nei deserti. E non ci riferiamo di certo al Bahrein o ad Abu Dhabi...

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