Lo scambio Gasly-Albon tra la Red Bull e la sorella minore Toro Rosso è stata la notizia “bomba” di questa torrida pausa estiva del Mondiale di Formula Uno. Helmut Marko, dopo una prima metà di stagione in cui i risultati del francese non sono stati all’altezza delle aspettative, ha deciso di rispedire il francese a Faenza, promuovendo al suo posto il giovane thailandese.

Non è questa una novità in seno al team anglo-austriaco; basti pensare infatti al 2016, quando Verstappen fu chiamato a sostituire Kvyat ben prima di metà stagione, andando a vincere subito il GP di Spagna, grazie anche all’harakiri delle due Mercedes in partenza. Le due situazioni però presentano differenze importanti: innanzitutto Kvyat aveva già all’attivo una stagione intera a Milton Keynes, con due podi all’attivo. Fu scaricato da Red Bull dopo il disastroso GP di Russia, gara di casa per lui, in cui speronò e mandò a muro Sebastian Vettel. Caso curioso: Kvyat sarà il team mate di Gasly fino a fine stagione.

I motivi della scelta di Marko non sono certo difficili da reperire; 63 punti contro i 181 del compagno Verstappen, zero podi contro i cinque dell’olandese, che ha fatto segnare anche due vittorie in Austria e Germania al termine di gare in cui ha dimostrato tutto il suo talento. Da segnalare come proprio a Spielberg, Gasly sia stato doppiato da Max, e anche in Ungheria è avvenuta la stessa cosa. Già dopo la gara austriaca il direttore del programma giovani Red Bull aveva tuonato: “Le prestazioni di Pierre sono semplicemente inaccettabili!”, lasciando presagire quello che è poi avvenuto un mese più tardi.

Premesso tutto ciò, restano comunque una serie di interrogativi a cui non è facile trovare risposta. Domande che riguardano non tanto l’episodio in sé, quanto tutto l’ambiente Red Bull e il suo Young Drivers Program, gestito da Helmut Marko in persona. Gasly resta un ottimo pilota, non può essere qualificato diversamente: campione GP2 nel 2016, lo scorso anno aveva surclassato il team mate Brendon Hartley, probabilmente non un campionissimo (pur avendo due Le Mans nel palmares), ma un professionista serio, tanto che la Ferrari lo ha voluto come pilota del simulatore per il 2019. Il francese ha probabilmente avuto difficoltà nella gestione della pressione interna, e qui si arriva al nocciolo della questione.

Spesso si sente affermare dagli addetti ai lavori come l’ambiente Ferrari sia il peggiore in cui lavorare, perchè, se da una parte si guida la vettura più blasonata al mondo, dall’altra si avverte sulla proprie spalle una pressione inimmaginabile in qualsiasi altro team. Sicuramente è così, ma siamo proprio sicuri che negli altri garage lo stress sia in qualche modo inferiore? Tralasciando un secondo la galassia Red Bull, e concentrandosi sui dominatori assoluti dell’era turbo-ibrida (la Mercedes) si nota come ci sia un pilota di punta (Hamilton), e un secondo pilota (Bottas), che per quanto veloce non riesce a tenere testa all’altro, commettendo spesso errori, dopo i quali viene puntualmente inquadrato il terzo pilota (Ocon) sempre a fianco del boss (Wolff). Lo stesso team principal ha dichiarato dopo la gara di Budapest di dover prendere una decisione in proposito; la pressione su Bottas non sembra essere poi così bassa!

Anche in casa Red Bull accade un processo simile, con la differenza che lo stress ai piloti viene posto già dalle categorie minori; lo stesso Albon era già stato tagliato negli anni scorsi, prima di essere reinserito. Inoltre, negli ultimi anni, si è assistito ad un fenomeno che, per quanto normale e assolutamente comprensibile, non va comunque sottovalutato. L’atteggiamento interno al garage, infatti, dal 2016 ad oggi è stato sempre più quello di proteggere e favorire l’astro nascente del Circus, Max Verstappen. L’olandese, oltre ad essere un fenomeno, porta al team anche un ritorno di immagine e merchandising che chiunque guardi un Gran Premio anche in tv può ben intuire. Non c’è da stupirsi, dunque, che tutto (o quasi) ruoti intorno a lui.

Ciò però porta delle conseguenze, in particolare sugli altri piloti della galassia Red Bull; il primo a farne le spese (oltre a Kvyat, che però fu causa del suo male) fu Carlos Sainz, costretto a spostarsi a fine 2017 prima in Renault e poi McLaren. In seguito, è stata la volta di Daniel Ricciardo; nella seconda metà della stagione scorsa, la vettura del simpatico australiano sembrava vittima di un oscuro sortilegio per cui continuava ad avere dei guasti, mentre quella dell’olandese marciava come un orologio fino al termine dei GP. Anche la filiera ne ha risentito, se è vero che in F2 nessun pilota corre con i colori Red Bull, presenti invece in F3; l’ingaggio a metà stagione di Patricio O’Ward, proveniente dalla Indycar, per la Super Formula al posto di Dan Ticktum, altro escluso di belle speranze, ha portato ulteriore instabilità in seno al team.

Prima di trarre conclusioni, quindi, occorrerà attendere alcuni GP e valutare i risultati di Alexander Albon, che dovrà in primo luogo dimostrare di saper reggere alla tensione che la presenza di un Max Verstappen nello stesso box inevitabilmente gli porterà.

Nicola Saglia