La realizzazione definitiva ha visto la realizzazione di un tracciato di 10 km, suddiviso in due settori da percorrere alternativamente nello stesso giro sfruttando il rettilineo in comune: uno stradale di 5500 m (simile al circuito odierno) e un anello di alta velocità lungo 4500 m (con curve sopraelevate appoggiate su terrapieno). Nota a margine: il tracciato non è fedele al progetto originale, il quale prevedeva un impianto di 14 km con uno sviluppo differente, bloccato per motivi di conservazione del paesaggio. Del resto siamo in Italia, la terra della burocrazia.

Nel corso degli anni il tracciato ha subito numerose modifiche (vuoi per ristrutturazioni, vuoi per adeguamenti a nuove norme di sicurezza in seguito a grossi incidenti), le quali non hanno mai snaturato più di tanto la caratteristica velocissima del tracciato stradale. La prima modifica risale al 1934 con l'introduzione di un raccordo tra lo stradale e la sopraelevata Sud con un vialetto: è il circuito Florio, una delle possibili configurazioni utilizzabili dell'impianto (tuttavia quasi mai utilizzata). Nel 1938 furono abbattute le curve sopraelevate del catino e all'ingresso del rettilineo principale furono realizzate due nuove curve ad angolo retto, che in seguito verranno ulteriormente modificate fino a diventare la Parabolica, una delle curve dal disegno più intrigante di tutto il Campionato.

L'ovale ad alta velocità verrà ripristinato dopo la guerra e sarà usato fino al 1961. Nel 1971, per limitare le velocità medie, vennero introdotte tre chicane posticce poi diventate permanenti: la Variante del Rettifilo (poi Goodyear), la Variante della Roggia e la Variante Ascari. Dopo il weekendi di Imola 1994 è stata arretrata di qualche metro la variante della Roggia ed è stata rallentata la curva di Lesmo Due, ora non più percorribile in pieno. Infine, nel 2001, è stata ridisegnata la prima variante, sostituendo la caratteristica doppia sinistra-destra con una secca curva a destra seguita da una repentina curva a sinistra a chiudere.

L'Autodromo è uno dei pochi circuiti al mondo che può vantare un passaggio al cinema: le riprese spettacolari dell'ultimo Gran Premio del film Grand Prix di John Frankenheimer (del 1966) sono state girate proprio in quel di Monza. Detto questo, negli ultimi anni, puntuale come la scadenza di una cambiale, c'è sempre chi ha messo in discussione la presenza del tracciato brianzolo o, in generale, del Gran Premio d'Italia nel Calendario. Il motivo? Semplice, il solito: soldi, money, dinero...

Il Gran Premio d'Italia è Monza, a parte l'edizione del 1980 corsa a Imola e facendo finta che non siano mai esistiti spifferi blasfemi che volevano uno spostamento su un fantasioso tracciato cittadino di Roma: l'Autodromo bisogna viverlo, non tanto per stare a contatto con la solita sfilata della dirigenza italiana (per dirla alla Fantozzi, "di casta sempre più elevata... direttori clamorosi, ereditieri, cardinali e figli di tutti questi potenti") nel paddock, quanto per l'aria che si respira nel Parco di Monza mentre si è frastornati dall'urlo lacerante dei motori che gridano una sola cosa: velocità. Un esempio? Negli Anni Novanta chi scrive ha staccato più volte il biglietto da diecimila lire per assistere ai test collettivi di inizio Settembre in vista della gara e rimanere a bocca aperta per sentire dove staccavano i migliori all'ingresso della Parabolica.

Se un giorno dovessimo calarci nell'abitacolo di una Formula 1 per girare nell'Autodromo, per quanto riguarda la questione assetto ce la caveremmo facilmente: poco carico aerodinamico e vettura rigida. Il lungo rettilineo dei box ci porta a velocità massima verso la Prima Variante: frenata molto brusca e inserimento deciso, senza sbavare troppo sui cordoli che qui sono particolarmente alti. Piega lunghissima a destra (Curva Grande) da prendere in pieno senza pensare, breve allungo e arriviamo alla staccata della Roggia: anche in questo caso bisogna frenare violentemente e prendere le misure, perché il cordolo in uscita è piuttosto scivoloso. Altro allungo e alleggerimento per affrontare l'ingresso a Lesmo Uno, quindi ancora poco giù con l'acceleratore verso Lesmo Due dove la frenata all'ingresso è più marcata. Nota: dalla televisione non si vede bene, ma entrambe le curve presentano un leggero banking. Di nuovo a tavoletta scollinando verso la curva del Serraglio: quando rivediamo l'orizzonte è già tempo di frenare per inserirsi decisi a sinistra tagliando sul cordolo e affrontare la Variante Ascari in progressione lasciando scorrere la vettura verso fine curva. Altro allungo e al cartello dei cento metri staccatona tutto a sinistra per buttarsi a destra all'interno della Parabolica: il raggio della piega che aumenta progressivamente e induce a dare gas... con circospezione però, visto che l'uscita esterna è molto scivolosa. E siamo di nuovo sul rettilineo. Altro giro, altro regalo.

Quali edizioni ricordare? Sicuramente quella del 1996, quando Schumi al primo anno in Ferrari riuscì a vincere con la F310: una vettura voluminosa, soprannominata Poltrona per le protezioni laterali altissime, e rattoppata nel progetto, talmente disegnata male che costrinse il tedesco a guidare con la testa inclinata in rettilineo per consentire il corretto flusso d'aria verso l'airscoope. Sul podio Schumi inventerà il suo marchio di fabbrica, il salto, con sotto il pubblico in delirio dopo anni di vacche magre e insuccessi clamorosi come le edizioni del 1994 e del 1995, che sarebbe meglio non ricordare. Infine, come non citare l'edizione 2008: Vettel con la Toro Rosso, una volta Minardi, portò a casa la prima pole e la prima vittoria della sua carriera; un risultato davvero impensabile considerando la vettura che guidava e le proibitive condizioni meteo in cui maturò il successo del tedesco.

Viva l'Italia dunque, "l'Italia dimenticata" come dice la canzone, ma non "l'Italia da dimenticare": fischiare i piloti sul podio solo ed esclusivamente perché guidano per una scuderia che ci sta sullo stomaco non è una grandissima trovata. Certo che il problema non si porrebbe neanche se ci salissero i piloti della Rossa. Magari è la volta buona? Noi siamo in attesa dal 2010.

Luca Colombo