SHADOW. Nell’avventura in Formula Uno durata quasi sette stagioni (1973-80) della Shadow, si ricorda principalmente la causa giudiziaria che la oppose alla Arrows nel 1978. Nel suddetto anno, il trio composto da Jackie Oliver, Alan Rees e Tony Southgate decise di salutare il team americano per abbracciare la causa del neonato team britannico. Proprio quest’ultimo venne accusato da Don Nichols – un ex agente della CIA fondatore del team statunitense – di aver letteralmente copiato il progetto della DN9 nel dare vita alla prima Arrows, la FA1. L’accusa di Nichols venne accolta dall’Alta Corte che condannò la scuderia britannica, costretta a pagare una multa di 500.000 dollari. Oltre alla sanzione pecuniaria, la Tyrrel fu costretta a distruggere le monoposto incriminate. Passando invece ai riscontri della pista, la Shadow può vantare ottimi risultati come la vittoria conquistata in Austria – sul tracciato dell’Österreich –  nel 1977, anno in cui il team pianse Tom Pryce, perito nella corsa di Kyalami. Il trionfo centrato dall’australiano fu anche l’unico nella storia della scuderia a stelle e strisce, tra le cui fila è passata gente come Graham Hill, Clay Regazzoni ed Elio De Angelis. Proprio il compianto pilota romano ottenne gli ultimi punti iridati della Shadow nell’appuntamento di Watkins Glen del 1979, prima dell’addio alla classe regina del motorsport, concretizzatosi l’anno successivo.

PARNELLI. Dopo l’esperienza nelle gare di durata (in particolare nella 500 miglia di Indianapolis, ma anche nella Champ Car), a metà anni ’70 si affacciò sulla scena della Formula Uno la Parnelli. Alimentata da un Ford Cosworth DFV, la scuderia americana debuttò nella penultima gara del 1974 in Canada, nell’appuntamento di Mosport, giungendo settima sotto la bandiera a scacchi con Mario Andretti. L’italo-americano, che nella gara di Anderstorp (Svezia) del ’75 ottenne con il quarto posto finale (risultato più importante nella storia del team), fu anche l’unico pilota schierato in pista dalla Parnelli. La mancanza di sponsor (e quindi di fondi) fu la causa del ritiro dalla Formula Uno della Parnelli dopo le prime tre corse del 1976, con Andretti che si accasò in Lotus l’anno seguente dove vinse il titolo nel 1978.

PENSKE. Come la Parnelli anche la Penske, dopo le fortune costruite nelle categorie americane, decise di tentare l’esperienza in Formula 1, debuttando nello stesso anno e nella medesima gara. Casualmente anche la stagione d’addio delle due scuderia “made in USA” fu la stessa (1976), solo che la Penske concluse tutta l’annata al contrario della Parnelli. Proprio l’ultima esperienza nella classe regina del motorsport fu in effetti molto positiva per il team fondato dall’imprenditore ed ex-pilota Roger Penske, che colse la prima ed anche unica affermazione con John Watson in Austria. Oltre al successo dell’Österreichring, il britannico salì sul podio anche nelle gare di Francia (Paul Ricard) e Gran Bretagna (Brands Hatch). L’addio del main sponsor in direzione Tyrrell costrinse la Penske all’uscita di scena nel 1976. Seppur con nome differente, l’anno seguente le PC4 – l’ultima versione della monoposto americana – continuarono a gareggiare venendo acquisite dal neo team tedesco ATS.

HAAS LOLA. Fondata da Carl Haas (di cui portava il nome) e Teddy Mayer, la Haas Lola gareggiò in Formula 1 solamente per due stagioni, nel biennio 1985-86. Nonostante avesse nel proprio organico piloti di esperienza come Alan Jones (campione del mondo 1980 con la Williams) e Patrick Tambay, il team americano – sostenuto economicamente, almeno all’inizio, dalla Beatrice Foods Company – non riuscì a ben figurare. L’unico risultato degno di nota fu conquistato proprio dall’iridato ex Williams, con il quarto posto centrato nell’edizione 1986 del Gran Premio d’Italia disputato a Monza. Al termine di quella stagione i gravi problemi finanziari costrinsero la scuderia americana a salutare il mondo della Formula Uno, non prima di aver realizzato il telaio per il neonato team francese Larrousse.

HAAS. Trent’anni dopo l’ultima apparizione in Formula Uno di una scuderia a stelle e strisce, la classe regina dell’automobilismo è tornata a parlare americano in questa stagione con il debutto della Haas. Nonostante la matrice “made in USA”, la scuderia di Kannapolis ha cuore italiano grazie ai motori forniti dalla Ferrari e al telaio costruito dalla Dallara, senza dimenticare le origini italiche del team principal Gunther Steiner. Alla prima stagione nel Circus, il team fondato da Gene Haas (omonimo del compianto Carl, scomparso lo scorso giugno), imprenditore impegnato nel settore delle macchine utensili con all’attivo già un’esperienza nel motorsport con la Nascar, ha colto subito risultati importati andando a punti con Romain Grosjean nelle prime due apparizioni di Melbourne e Sakhir. Prestazioni che sono valse all’ex pilota della Lotus i riconoscimenti di Driver of the Day in entrambe le gare. Dopo 17 gare, la Haas ha conquistato 28 punti (8° posto in classifica costruttori davanti a Renault, Manor e Sauber), bottino che può essere incrementato nelle ultime quattro gare del 2016. Il futuro della Haas è ancora tutto da scrivere…

Piero Ladisa 

 

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