"Under Pressure", suonavano i Queen e David Bowie in un celebre pezzo del 1981. Perchè non è da Vettel toppare in malo modo un giro di qualifica; non è da Vettel partire all’arma bianca, in modo distratto o più colpevolmente irruente. Non è da Vettel scagliarsi, per nulla, contro un Kvyat “qualsiasi”, reo in questo caso soltanto di aver fatto bene il proprio lavoro di pilota. Seb in Cina ha perso parte del proverbiale sorriso, di quella serafica calma (dei forti) che da sempre lo contraddistingue. L’algido e angelico demonio da pista, sorrisino sfottitore fuori e occhi della tigre sotto il casco, è sembrato per la prima volta vulnerabile, sperso nel dedalo di un sogno mondiale che soffoca più che aiutare, asfissia più che motivare.

La Ferrari è un grattacapo irrisolvibile fatto di proclami, ambizioni, velocità e concetti nuovi, ma anche guasti al motore e compromessi per l’affidabilità. Sturm und Drang che sfiancherebbe chiunque, è una Rossa irrequieta per la naturale e necessaria aspirazione a tendere ad una corona iridata ch’è un tarlo che prosciuga le energie.

Le spalle del condottiero Sebastian sembrano vacillare, lui – il principe erede di Schumacher che vuole diventare re di Maranello – stretto nella morsa della Mercedes, delle aspettative di un popolo trepidante e di un compagno di squadra improvvisamente “scomodo”. C’è un famoso proverbio che recita: “Dai nemici mi guardo io, dagli amici mi guardi iddio”. Perché nell’anno del mondiale, presunto, annunciato, impossibile, di tutto Vettel aveva bisogno fuorché di un Raikkonen versione 2007, o più realisticamente, versione Lotus (2012-2013). Un Kimi ritrovato, perfettamente (e finalmente!) a proprio agio con l’anteriore della Ferrari, che adesso si lascia guidare come dice lui, per un inserimento in curva di nuovo preciso, incisivo, molto “Iceman” e performante.

Il sandwich in partenza tra la Red Bull e la Ferrari numero 7 è quantomeno simbolico. E’ la metafora del momento di Vettel, campione portato a strafare, a spuntarla a tutti i costi per non perdere ancora terreno, per appagare il senso di vittoria suo e della Scuderia e rimettere a posto le cose. La Mercedes davanti a mo’ di lepre selvatica e impazzita, Marchionne ai box con sguardo severo, Raikkonen incalzante e molto poco “seconda guida”. Sullo sfondo una monoposto non ancora pronta per certi traguardi.

Vettel è sottoposto ad un coacervo di pressione che schiaccerebbe chiunque, ecco perché sulla faccia del fenomenale tedeschino è spuntata per la prima volta da quand’è in Ferrari una smorfia di malessere, insofferenza, forse una sensazione di impotenza; quella di non potere, lui solo con la propria incommensurabile classe, risolvere tutti i problemi della Rossa. Benvenuto nel mondo che ha devastato Alonso, verrebbe da dire con una punta di malizia; se non fosse che Vettel ha cuore, carisma, pazienza per aspettare la Ferrari. E se da un fine settimana in stile Pierino è venuto fuori un secondo posto di rabbia, non immaginiamo cosa potrà essere quando l’equazione SF16-H verrà risolta dai “matematici” di Maranello.

Antonino Rendina

Twitter @antorendina

 

 

 

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