È stata una 500 Miglia che ha tenuto tutti i fan dell’IndyCar con il fiato sospeso per più di tre ore, e che alla fine ha incoronato meritatamente Josef Newgarden. Il pilota del Tennesse ha avuto la meglio nel giro finale di un mai domo Marcus Ericsson, dopo una gara interrotta per ben tre volte con bandiera rossa. Ed è proprio questo ad aver scatenato le polemiche: erano veramente necessarie le interruzioni?

Ericsson: “Ultimo restart pericoloso”

Partiamo dalla fine della gara, e più precisamente dagli ultimi due giri dei 200 previsti. La crew della IndyCar che sovrintende le operazioni in pista decide di far ripartire le vetture dopo la terza bandiera rossa, esposta per ripulire la pista dai detriti dell’incidente che aveva coinvolto in precedenza Andretti, Rahal e Pedersen. Il tempo stringe, e la bandiera verde viene calata sullo schieramento insieme a quella bianca, dopo un solo giro alle spalle della pace car.

È proprio questo che non è andato giù a Marcus Ericsson, grande sconfitto della classica dell’Indiana, sorpassato nel finale da Newgarden. “È stato un finale di gara ingiusto e pericoloso", ha detto. "Non abbiamo mai fatto una ripartenza direttamente dai box. Così non riusciamo a portare le gomme in temperatura. Penso che sia stato un modo difficile di concludere la gara, non sono molto d'accordo con questa scelta”.

Quella dello svedese potrebbe sembrare la classica recriminazione dello sconfitto, ma a ben guardare essa ha un importante fondo di verità. Mai, infatti, dopo una bandiera rossa su un ovale (comprese le due occasioni precedenti di giornata) viene data bandiera verde dopo solo un giro dietro safety, per i motivi a cui ha fatto riferimento lo stesso Ericsson. Qui, invece, è stata fatta un’eccezione, per ovvi motivi. E la cosa non è andata giù al pilota di Chip Ganassi.

Bandiera verde a tutti i costi

Analizzando la gara nel suo insieme, appare evidente un dato di fatto. La 107° edizione della Indy 500 doveva a tutti i costi chiudersi in regime di bandiera verde. Difficile spiegare altrimenti le decisioni prese dalla direzione gara IndyCar negli ultimi giri di domenica: ben tre interruzioni con bandiera rossa, di cui solo una è parsa realmente necessaria.

Al giro 183, quando Kyle Kirkwood è finito a testa in giù dopo essere decollato in seguito al contatto con Ericsson, è stato giusto e doveroso interrompere la gara. La dinamica è stata spaventosa, e la macchina dei soccorsi ha dovuto muoversi in fretta. Al giro 192, però, quando sono finiti a muro O’Ward, Canapino e Pagenaud, ecco, qui la situazione cambia radicalmente.

Se l’incidente fosse successo in un altro momento della gara, la race direction non avrebbe minimamente pensato a mettere bandiera rossa. Non esistevano, infatti, pericoli così importanti per i piloti o per gli addetti ai lavori: si è trattato di contatti con il muro come se ne vedono a centinaia nelle gare sugli ovali. Stessa cosa si può dire per quanto avvenuto a cinque giri dal termine, con l’aggravante del giro di attesa in regime di caution che ha fatto perdere ulteriore tempo prezioso.

Sicurezza sì, ma lo show viene prima!

Insomma, anche il mondo delle corse oltreoceano va a fare i conti con la necessità dello show a tutti i costi. Anche a discapito della sicurezza per cui lo stesso panel della IndyCar e tutti i suoi attori principali hanno profuso sforzi importanti, raggiungendo risultati inimmaginabili fino a qualche tempo fa. Tutto questo stride con quanto visto nel finale di gara dell’ultima Indy 500: ripartire su un Superspeedway dopo solo un giro dietro la pace car è un rischio altissimo, ben noto a tutti nel mondo delle gare americane.

E allora, a ben vedere, le parole di Marcus Ericsson sono ben più di una lamentela da sconfitto, da mettere nello scaffale segnato come “Chi vince festeggia, chi perde spiega”. Nessuno nega che Newgarden abbia meritato la vittoria; partire 17° e finire primo è un’impresa incredibile, che ben sintetizza, ma non esaurisce, la classe e l’enorme potenzialità del pilota di Nashville.

Ma questa vittoria, a ben vedere, risulta viziata da una innegabile differenza nel trattare quelle che sono le situazioni di gara. Se negli altri due casi si erano infatti tenuti tre giri dietro la pace car prima della bandiera verde, qui ne è bastato uno, per limiti di tempo. Non si è voluto in nessun modo finire in regime di caution, ma attenzione: un precedente del genere potrebbe avere conseguenze importanti.

Complimenti più che doverosi a Newgarden, dunque; ma è certo che quanto avvenuto domenica avrà ripercussioni importanti in futuro.

Nicola Saglia