I circa 2200 metri sopra il livello del mare di Città del Messico rappresentano una condizione ambientale unica nel suo genere per la Formula 1: più si va verso l'alto, più l'aria diventa leggera e questa rarefazione, oltre a dare alla testa (stando alla saggezza popolare), influenza le prestazioni dell'unità propulsiva (anche se il fenomeno si sente di più con i motori aspirati), dei freni e degli effetti deportanti del corpo vettura e superfici aerodinamiche. Giusto per fare un esempio, la minore resistenza all'avanzamento ha permesso a Valtteri Bottas, nell'edizione del 2016, di raggiungere i 372.5 km/h sulla Recta Principal a bordo della sua Williams - Mercedes. "Tutta questione di fisica" direbbe l'insopportabile bambina saccente dello spot di una famosa compagnia aerea.

La curva della Peraltada, invece, è l'infinito curvone di 180° destrorso a raggio costante che raccorda la Recta del Ovalo con la Recta Principal e che nel figurino del tracciato produce una successione di curve che crea una vaga somiglianza con l'ultimo settore dell’Autodromo di Monza. La velocità di percorrenza, con quel banking che giustifica l'acceleratore a tavoletta, e una sede stradale endemicamente sconnessa, fanno sì che questa curva sia uno dei teatri in cui è racchiusa l'essenza dell'automobilismo, che spazza tutto lo spettro dell'emozione: può finire in gloria (Nigel Mansell su Ferrari che sorpassa Gerhard Berger su McLaren - Honda nel 1990 con una manovra ai limiti dell'insensato), può finire male (Ayrton Senna che assaggia il fuori pista, una volta con la Lotus e una con la McLaren, in maniera assurdamente violenta, nelle prove dell'edizione 1991) e può finire in tragedia (sorte che toccò allo sfortunato Ricardo Rodríguez nel 1962).

Il nostro problema è che quella Peraltada (di cui abbiamo avuto modo di apprezzarne il disegno nelle edizioni degli Anni Ottanta e Novanta) non esiste più. Più in generale, è rimasto in piedi ben poco del disegno originale del 1962, quando ancora il tracciato non era dedicato ai fratelli Rodríguez e si chiamava Magdalena Mixhuca (semplicemente perché è il nome dell'area verde che ospita l'impianto): oggi solo le immagini dall'alto possono dare idea di quello che il GP del Messico era negli anni ruggenti, come la Peraltada o il tornantino in configurazione sopraelevata dell'Horquilla (oggi Curva 6), per non parlare di altri punti da pelo sullo stomaco. I due lunghi periodi lontano dalla Formula 1, che sommano quasi quarant'anni d'inattività, entrambi figli di problemi gestionali (soldi, ordine pubblico e pure inquinamento), hanno prodotto la versione attuale del circuito, fortunatamente più sicura, ma meno selvaggia, in cui metà curva della Peraltada è stata castrata con una zona mista che sembra il parcheggio del centro commerciale, con i birilli per la scuola guida extra-lezione della domenica mattina: curva stretta che chiude e controcurva in scorrimento. Mancano solo i carrelli e le caselle del parcheggio. Ci sono però tre enormi gradinate rubate allo stadio di baseball che circondano il budello e che, perlomeno, al momento della celebrazione sul podio sembrano abbracciare assieme pubblico, vetture e piloti.

Come abbiamo detto il Messico è stato teatro di assegnazioni iridate negli anni Sessanta, data la sua collocazione in fondo al Campionato, e di risultati passati alla storia, di cui ci piace sottolinearne due: il primo podio di Michael Schumacher (conquistato nel 1992 dietro le Williams – Renault di Mansell e Riccardo Patrese) e la vittoria di Richie Ginther, datata 1965, a bordo della Honda RA272, prima vittoria dei giapponesi come Costruttore tout-court. Oggi il tracciato messicano, nonostante nel 2007 si vociferasse di un nuovo impianto locato nei pressi di Cancun, viene impiegato per numerose competizioni internazionali e, nel calendario della Formula 1, insieme a Montecarlo condivide l'ospitalità anche all'evento di Formula E, che si corre su una delle configurazioni ridotte disponibili nell’impianto. Detto questo, serve un’ulteriore chicca relativa alla vocazione iridata del tracciato?

La vittoria del primo ePrix è andata a Lucas Di Grassi, che poi ha vinto il Mondiale…

Luca Colombo

 

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