E’ passato un anno esatto da quel trionfo tutto italiano targato Ferrari-Scarfiotti, ma la alla vigilia del Gran Premio di’Italia 1967 sembrava trascorso un secolo. La doppietta della stagione passata è oscurata da una crisi travolgente che porta il team di Maranello a schierare una sola 312, affidata a Chris Amon, mentre l’eroe del 1966, Scarfiotti, è al via con una poco competitiva Eagle-Weslake.

Il round italiano del mondiale di Formula 1 viene quindi preso d’assalto dai soliti e mai domi team inglesi, ai tempi costruttori di telai e motori tali da rendere la griglia una sorta di monopolio della bandiera Union Jack. In primis ci sono le due Brabham dell’omonimo Jack, reduce dalla conquista del suo terzo titolo iridato l’anno precedente, e del neozelandese Denny Hulme. C’è la McLaren con il suo mitico fondatore Bruce; ci sono le Brm del futuro iridato Jackie Stewart e del britannico Mike Spence. Ma soprattutto ci sono loro, le agili, leggere e minute Lotus-Ford, con una coppia da sogno formata da Jim Clark e Graham Hill, capitanati dal rivoluzionario Colin Chapman. Nonostante i due titoli dello scozzese e da quello di “Mr Monaco”, uniti dalla fantasia tecnica del tecnico di Richmond, quella 1967 è però una stagione piuttosto deludente per il team britannico. Le Lotus 49 sono si agilissime e con la leggerezza come loro punto di forza, ma anche altrettanto fragili. Delle otto gare disputate prima di Monza, Clark ha infatti vinto due gare ed ottenuto un sesto posto, ma è rimasto a piedi nelle restanti cinque. Peggio andò a Hill, che collezionò sono un secondo ed un quarto posto insieme ad una serie desolante di zeri.

A Monza arriva quindi l’occasione giusta per raddrizzare un’annata non proprio felice, e Clark risponde subito presente. Nelle sessioni di qualifiche bagnate, lo scozzese volante sfrutta i pochi sprazzi di asciutto per demolire il record della pista appartenente alla Ferrari. Un chiaro segnale di quanto la verde monoposto contraddistinta dalla bandiera scozzese, accoppiata già vincitrice in Brianza quattro anni prima, faccia sul serio; e cosi’ effettivamente accadde. La Monza di allora prevedeva ancora il vecchio layout. Di chicane nemmeno l’ombra, un coefficiente di pelo sullo stomaco elevato per affrontare al meglio le Lesmo e la solita, temibile Parabolica. Il tutto unito da vetture che richiedevano una certa dose di attributi per essere portate al massimo, con aerodinamica ancora lontano dal svilupparsi e gomme che definire da competizione sarebbe un’offesa nei confronti dei moderni ed evoluti pneumatici di oggi. Facile quindi comprendere come il tempio della velocità richieda una certa dose di rispetto per i piloti di allora oltre che tanto “manico”.

Il via della gara è piuttosto concitato, con Clark che non parte bene dal palo venendo risucchiato dal gruppo. In testa si issa quindi Sir Jack Brabham davanti a Dan Gurney e alla sua Eagle ed alla coppia Lotus. Bastano però pochi passaggi per capire che lo scozzese volante è in una delle sue giornate di grazia; tre giri dopo la verde Lotus è già in testa a comandare le operazioni e con il vantaggio sul più diretto inseguitore che lievita sempre di più. Gara già chiusa e finita? Neanche per sogno. Una decina di giri più tardi la monoposto britannica comincia a rallentare, causa una gomma afflosciata costringendo il funambolico Clark ad una sosta forzata, che viene effettuata non esattamente in tempi record. In questo modo il driver Lotus riprende la via della pista doppiato e con le speranze di agguantare una vittoria, sin lì alla portata, davvero al lumicino. Una situazione che avrebbe spinto molti al ritiro, a non rischiare per qualcosa apparentemente inutile per di più su delle macchine in cui il concetto di sicurezza era ben lontano persino dall’essere concepito. Ma Jim Clark non rientra certamente in questa cerchia. Otto giri dopo la Lotus 49 è già a ridosso della top ten e pronta a sdoppiarsi nei confronti dei leader, quasi meravigliati dal vedersi spuntare la verde sagoma della monoposto inglese negli specchietti. Come fossero delle 500 in autostrada, Clark li passa con una facilità imbarazzante.

A quel punto diventa una sorta di sfida tra lui e Monza. Curvone, Lesmo, Parabolica, ad ogni giro la verde Lotus disegna delle traiettorie perfette, senza mai sbagliare una marcia e girando incredibilmente più veloce di tutti. Al 50° giro il leader Hill si ritira per un guasto tecnico e in testa c’è Surtees, con la nuova Honda Ra300, ma Clark è nei paraggi. A quel punto anche il pubblico si accorge che quello a cui sta assistendo non è una cosa normale, e quando la Lotus passa in testa va in visibilio. Ovunque passi tutti in piedi ad applaudire. E chissà cosa deve avere pensato Jack Brabham quando si è trovato per la seconda volta l’ingombrante figura della monoposto inglese nei suoi specchietti. Probabilmente un miraggio, una sorta di incubo, ma sta di fatto che poco dopo “Black Jack” l’avrebbe ripassato senza più rivederselo alle calcagna. Ebbene si, perché il destino beffardo si prende cura proprio della Lotus di Clark, che nel corso del penultimo giro accusa un sussulto; un problema di ripescaggio della benzina si seppe poi. Sotto il traguardo passa quindi per primo Surtees in volata su Brabham, portando quindi a conoscenza la bontà del progetto tecnico dei giapponesi di Honda. Ma di quella supremazia nipponica non sembrò fregare a nessuno quando Clark tagliò il traguardo in terza posizione. Per tutti il vero vincitore era lui, autore di una rimonta epocale destinata a rimanere per sempre negli annali, ed acclamato da chiunque abbia assistito a quella memorabile edizione del Gran Premio d’Italia. Forse per la prima volta il terzo fu il primo dei vincitori, o almeno a Monza, in quel 1967, fu cosi’.

 Walter Hayes, uomo Ford, dichiarò poi: “Clark è nato lo stesso giorno di Einstein o Strauss. Quel giorno a Monza capii il perché”.

Alessio Sambruna

Foto: The Cahier Archive