Si chiude il terzo decennio di storia della SBK, con una stagione ricca di polemiche, sia a livello regolamentare, sia sulla gestione da parte del promoter che a livello economico cresce, mentre lo spettacolo in pista diminuisce sempre di più:

Regolamento dell’ultimo minuto. Il tanto discusso nuovo regolamento che avrebbe dovuto tagliare le ali a Kawas... Pardon, equiparare le prestazioni tra i team, oltre che esser stato modificato a poche ore dall’inizio del mondiale a Phillip Island, coi team che si chiedevano cosa sarebbe successo se i piloti avessero sforato il limite imposto di giri per la loro moto. Tutto questo non ha fatto altro che creare nuovi dubbi intorno alla gestione Dorna del WorldSBK con un regolamento che penalizza chi vince invece di premiarlo. Regolamento che ha avuto un effetto praticamente nullo con Tom Sykes e Jonathan Ream capaci di abbattere costantemente i record sulla maggior parte dei circuiti. A poco è servita anche la griglia invertita per gara due, visto che in sole due occasioni su tredici round il vincitore non ha terminato sul podio (in entrambi i casi Rea, in Thailandia dove chiuse quarto gara 2 ed a Brno dove venne steso dal compagno di squadra Tom Sykes, ndr). Insomma se questo regolamento avrebbe dovuto portare più moto a lottare per il mondiale è stato un fallimento, perché come spesso è successo nelle ultime stagioni i piloti si staccano fin dai primi giri rendendo una vera e propria agonia per gli spettatori guardare le gare fino alla bandiera a scacchi, con gli appassionati che rimpiangono i bei tempi della gestione dei fratelli Flammini.

Kawasaki la moto da battere. Quarta stagione di dominio per Jonathan Rea e Kawasaki, con il nord irlandese che conquista il quarto titolo consecutivo in SBK. Mai nessuno come lui, da quando è arrivato sulla "verdona" Rea ha conquistato 56 vittorie su 103 (54,3% di vittorie, ndr) ed addirittura 92 podi (89,3% delle gare terminate sul podio, ndr); ogni anno che passa distrugge record su record e solo l’annullamento dell’ultima manche non gli ha permesso di battere il record di punti in una stagione, e conquistare la dodicesima vittoria consecutiva. Dall’altra parte del box invece Tom Sykes, all’ultima stagione nel Kawasaki Racing Team, ha stabilito il record per maggior numero di pole position, battendo il precedente record di Troy Corser con 48 superpole conquistate in 9 stagioni da pilota del team ufficiale Kawasaki. Purtroppo nelle gare quest’anno è sempre parso in difficoltà rispetto al compagno di squadra, conquistando una sola vittoria e una manciata di podi. A lui va però riconosciuto il merito di aver cominciato il lavoro di sviluppo della Ninja nel 2010 che lo ha portato a vincere il mondiale 2013, oltre che a perdere quello 2012 per solo mezzo punto, terminando in seconda posizione anche nel 2014 e 2016. 

Yamaha torna alla vittoria. Non succedeva dal 2011, quando a salire sul gradino più alto del podio fu Marco Melandri: Yamaha dopo tre anni dal rientro in forma ufficiale è tornata a vincere e lo ha fatto con Michael Van der Mark a Donington Park in entrambe le manche e con Alex Lowes a Brno, dove addirittura le Yamaha hanno occupato i primi due gradini del podio. Un progetto quello del team Pata Yamaha che sta bruciando le tappe, tanto da arrivare a giocarsi il secondo posto nel mondiale fino all’ultima gara con “MagicMike” contro Chaz Davies e la Ducati Panigale R. Il lavoro del team di Andrea Dosoli si è concentrato sull’elettronica della YZF-R1, che nella scorsa stagione era stato il punto debole della moto di Iwata con belle prime parti di gara per poi sparire nel gruppo da metà gara in poi, quando l’usura del pneumatico posteriore iniziava a farsi sentire: in questo è stato fondamentale l’ingaggio di Michele Gadda, esperto elettronico strappato dal team Aruba Ducati; a lui si devono i primi successi della Ducati Panigale R nel 2015 con Chaz Davies e sempre a lui si devono i miglioramenti della Yamaha, che hanno portato Van der Mark e Lowes a vincere tre manche e salire costantemente sul podio. Michele Gadda è stato poi anche incaricato di gestire il nuovo team di elettronici per le M1 di Valentino Rossi e Maverick Vinales.

L’ultimo ballo del bicilindrico. È dal 1988, cioè da quando è iniziata la storia del WorldSBK, che la Ducati corre con un bicilindrico, una storia cominciata a Donington il 3 aprile 1988 con la 851 e che è terminata questo weekend a Losail con la Panigale R. Una storia, quella dei bicilindrici Ducati, ricca di successi e di trionfi, almeno così è stato fino al 2012, anno di arrivo della Panigale R nel WorldSBK. 14 titoli mondiali: uno per la 851 nel 1990 grazie a Raymond Roche, seguiti da altri due titoli consecutivi fino al 1992 con Doug Polen e la Ducati 888. Nuova serie di vittorie con la 916, tre volte campione del mondo grazie a Carl Fogarty e Troy Corser, con l’inglese che ha portato al successo anche la 996 nel 1998 e 1999, moto che è anche la prima iridata per Troy Bayliss. Nel 2003 va in pensione quella che per i ducatisti di tutto il mondo era chiamata “la serie perfetta”, ma la nuova arrivata 999, tanto discussa per le linee disegnate da Pierre Treblanche, ma subito vincente con Neil Hodgson e James Toseland nel 2003 e 2004, per poi rivincere nel 2006 con Troy Bayliss, che nel 2008 alla stagione di debutto per la 1098 R la porta subito sul tetto del mondo, stesso risultato che ottiene Carlos Checa nel 2011 con la Ducati 1098 R del team Althea. L’ultima evoluzione del bicilindrico Ducati si chiama “superquadro”, abbandona il telaio a traliccio in favore del motore portante già sperimentato in MotoGP, ma nonostante le promesse di riportare quanto prima la Ducati sul tetto del mondo la Panigale R è andata in pensione terminando la propria carriera senza aver raccolto un titolo iridato, prima Ducati a non riuscirci. Chaz Davies, che è stato il miglior interprete della Panigale R, capace di vincere 25 gare dal 2015 a oggi e terminare il mondiale per ben tre volte secondo, sempre alle spalle del cannibale Jonathan Rea. Alle vittorie di Chaz vanno sommate le 3 di Marco Melandri, unico altro pilota ad essere riuscito a portare sul gradino più alto del podio la Panigale V2.  

2019 tanti punti di domanda. A cominciare dal calendario, se per quasi tutti i campionati i calendari della prossima stagione sono già stati comunicati (compresi quelli di alcuni campionati nazionali, ndr) il mondiale SBK non ha ancora un calendario; si dovrebbe cominciare a Phillip Island il 23/24 febbraio ma mancano ancora tutte le altre date. Mancano anche parecchi team e molti piloti non hanno ancora una sella; il Kawasaki Racing Team schiererà il confermato Jonathan Rea e Leon Haslam, di ritorno nel mondiale SBK dopo aver vinto il BSB; il team Aruba.it Racing Ducati conferma Chaz Davies e sceglie di puntare su Alvaro Bautista, in arrivo dalla MotoGP per portare a battesimo la nuova Panigale V4R, la terza Ducati in pista schierata dal team Barni sarà affidata a Michael Ruben Rinaldi, con Yamaha che è l’unica a confermare gli stessi piloti con Michael Van der Mark ed Alex Lowes, chiamati ad un salto di qualità. Kawasaki potrà contare anche su Toprak Razgatlioglu, che sarà schierato nuovamente dal team Puccetti Racing; certe anche le presenze di Gabriele Ruiu e Roman Ramos con le Ninja schierate da Pedercini e Go Eleven.

Sulla Honda CBR1000RR SP2 del Honda World Superbike Team ci salirà nuovamente Leon Camier, ma non è ancora chiaro se avrà un compagno e sopratutto quale sarà il ruolo di Ten Kate nel team, le Honda private del team americano TripleM dovrebbero diventare due, ma non è ancora chiaro chi saranno i piloti. Chi sembra aver trovato sistemazione è Tom Sykes che con Markus Reiterberger dovrebbero formare la coppia del team SMR BMW Motorrad, con il team di Shaun Muir che passa da Aprilia a BMW. Le certezze sono solo queste, si vocifera di un team satellite Yamaha gestito dal team GRT con Sandro Cortese, fresco campione del mondo supersport ed un secondo pilota giovane, Federico Caricasulo, ma che nel post gara di Losail ha fatto intendere che correrà ancora in Supersport. Aprilia ed MV Agusta dovrebbero salutare il mondiale SBK con anche i team Orecal e Guandalini che non hanno definito i loro progetti per il 2019, da chiarire anche il futuro di Althea Racing, con Genesio Bevilacqua che aveva strizzato l’occhio a Ducati, ma che ora sembra vicino ad un passaggio in Honda con l’appoggio dal Giappone del team Moriwaki.

In tutto questo i piloti a piedi sono tanti e con nomi importanti: Marco Melandri, dopo esser stato scaricato da Ducati si era offerto a Yamaha, ma sembra ormai indirizzato verso il MotoAmerica, magari in Suzuki accanto a Tony Elias nel team ufficiale Suzuki Yoshimura; Jordi Torres, dopo aver chiuso anzitempo la sua stagione con MV Agusta per sostituire Tito Rabat nel team Avintia MotoGP, ha ricevuto la proposta per diventare collaudatore Ducati, alla quale non ha ancora rinunciato ma che sicuramente preferisce valutare come ultima alternativa. Sono senza sella anche Eugene Laverty e Lorenzo Savadori, scaricati da Shaun Muir, con Laverty che si era proposto sia a Ducati ufficiale che a Yamaha, ma senza venir preso in considerazione. Futuro incerto anche per Loris Baz e Xavi Fores al quale non è bastato essere il miglior pilota indipendente per avere la certezza di una sella nel prossimo mondiale. 

Mathias Cantarini