Nel giorno della scomparsa di Niki Lauda, riproponiamo la nostra intervista realizzata al campione austriaco nell'estate 2016. In quei giorni cadeva il quarantesimo anniversario dell'episodio più doloroso e significativo della sua carriera: il drammatico rogo del Nurburgring. 

Un evento che, a distanza di quarant'anni, assume più che mai un significato particolare, specialmente se raccontato dalla viva voce del protagonista. Colui capace di rendersi in seguito autore di un recupero a dir poco miracoloso: il rientro in pista a soli 42 giorni di distanza dall'incidente, grazie ad una tenacia ed un coraggio sicuramente fuori dal comune, prima dell'entusiasmante rush finale per il titolo con James Hunt, risoltosi soltanto sotto il diluvio del Fuji in favore dell'inglese ed il gran "rifiuto" dell'austriaco. Il quale ebbe poi modo di rifarsi ampiamente: conquistando il titolo l'anno dopo con il Cavallino, prima di andarsene in Brabham "sbattendo" la porta, quindi abbandonare la Formula 1 ed infine rientrare per conquistare il terzo titolo iridato con la McLaren nel 1984. Nel paddock di Hockenheim, in veste di boss del team Mercedes, il tre-volte campione del mondo è tornato a parlare di quel drammatico episodio.

Lauda, sono trascorsi quarant'anni. Cosa ricorda di quella giornata al Nürburgring?

Niente. Ed è stato meglio così. Il fatto di aver rimosso tutto mi ha aiutato a rimettermi in sesto più velocemente. I piloti che non riescono a superare i traumi di un incidente, non riusciranno mai a tornare al volante. In simili casi sarebbe preferibile mollare tutto e ritirarsi. Io sono tornato in pista 42 giorni dopo perchè ho eliminato dalla mia mente tutti i cattivi ricordi.

L'impressione comunque è che quando rimise tuta e casco a Monza, fosse in condizioni tutt'altro che perfette...

Mi sentivo malissimo, infatti. Ma dovevo farlo. Il giovedì i medici mi convocarono per dirmi che non erano d'accordo con il mio rientro, mettendomi addosso un sacco di pressione. Gli dissi che ero in forma, ma loro per tre ore mi fecero una marea di controlli. Io volevo solo guidare, da quel momento in poi cercai di evitare chiunque avesse le sembianze di un medico...tutto ciò mi fece commettere l'errore più grande della mia vita.

Quale errore?

Dimenticai di andare da Merzario per ringraziarlo di avermi salvato. Ero molto sotto pressione per risolvere i miei problemi, quindi pensai solo ad infilarmi in macchina e guidare nel miglior modo possibile. E così feci. Tanto da ritrovarmi improvvisamente ad essere la Ferrari più veloce in pista in quel weekend.

Ed invece cosa accadde nella gara finale al Fuji?

La questione era semplice: non voleva smettere di piovere. E si trattava di un vero e proprio diluvio. Tutti noi piloti eravamo concordi nell'affermare che in quelle condizioni sarebbe stato impossibile guidare. Ma alle cinque del pomeriggio il direttore di corsa ci disse che la corsa doveva partire. Gli chiesi perchè, e lui mi rispose che c'erano delle esigenze televisive da rispettare, visto che la gara per la prima volta sarebbe stata trasmessa in mondovisione. M'infuriai, lo mandai apertamente a quel paese e gli dissi che dopo un giro mi sarei fermato. E così feci. Per me correre in quelle condizioni era da stupidi.

E' vero che ci fu un meeting dei piloti prima della partenza per decidere il da farsi?

La gara venne posticipata più volte per il nostro rifiuto, perchè la pioggia non ne voleva sapere di cessare. Una situazione davvero stupida...

Nulla a che vedere con l'incidente del Nürburgring la decisione di fermarsi?

Non ero io ad avere paura, era semplicemente la pioggia ad essere eccessiva.

Perse il Mondiale per un solo punto, alla fine...

Non persi il Mondiale in quella gara, ma perchè fui costretto a saltarne tre dopo l'incidente. Nel finale di campionato i risultati non furono negativi, nonostante le conseguenze dell'incidente. Per voi magari sembra diverso...

Si è mai dato una risposta sulle cause che innescarono l'incidente?

In quel weekend stavamo testando una nuova componente in magnesio del motore, nella zona di attacco con le sospensioni. Ma nessuno mi ha mai detto se fu quello a scatenare ciò che poi accadde. E, forse, nemmeno io l'ho mai voluto nemmeno sapere.

Da Hockenheim - Marco Privitera