Che Lewis Hamilton fosse il migliore già si sapeva, ma la certezza del quinto titolo certifica il sospetto. Vincere il mondiale senza essere protagonista della gara decisiva sta diventando una fastidiosa abitudine per il campione britannico, ma chi non ci metterebbe la firma dopo una stagione come la sua? Emerge dal confronto - leale e sportivo - con Sebastian Vettel da dominatore indiscusso di questo campionato, con nove vittorie che lo portano a 71 in carriera a solo meno 20 da Schumacher. Ha la possibilità di riscrivere record e storia Hamilton, per il talento e l'amore per le corse certo, ma anche per quella sua personalità unica e guascona fatta di riflettori e jet set, fondamentale però quanto l'abilità in pista per creare un mix letale per detrattori e avversari. La forza del campione Lewis sta nel vigore con cui attinge energia e motivazioni dalle situazioni negative in cui la lotta e la concentrazione fanno la differenza per emergere, così come abituato fin dall'infanzia a farsi largo contro una vita difficile. 

Lucidità e pazienza, aggressività e grinta l'hanno portato ancora una volta sul tetto del mondo, la quinta al pari di Fangio e con un occhio sul mitico 7 di Schumacher, numero magico e intoccabile almeno fino ad ora. A 33 anni e nella migliore forma della carriera il talento di Stavenage può ora ambire a vette impensabili per tutti gli altri. Nel trionfo di questo 2018 c'è naturalmente l'esito e l'essenza del confronto con Sebastian Vettel, il principale avversario degli ultimi due anni al netto delle brevi incursioni di Max Verstappen. Leale e sportivo il duello tra i due. Sincera e profonda l'ammirazione tra questi campioni diversi per stile di guida, mentalità, personalità. Vivace e spaccone l'uno, schivo e riflessivo il secondo. Entrambi ricchi di talento ma lontani per approccio alla pista e a questa vita.

Sportivo l'abbraccio tra i due a fine gara. L'uno a complimentarsi con l'altro, con il tributo poi portato dallo stesso Vettel a tutta la squadra di tecnici della Mercedes, a cominciare proprio da Toto Wolff, architetto e gestore perfetto di un team affiatato, cinico e spietato nella gestione delle gare. Senza essere stata la macchina migliore per gran parte del campionato, il team anglo-tedesco è riuscito ad emergere alla distanza senza perdersi d'animo o andare in confusione nei momenti di difficoltà azzeccando strategie e chiedendo sacrifici a Valtteri Bottas. 

Se Vettel, ieri scuro in volto quasi ad esprimere fisicamente lo stress di queste settimane, che i suoi errori hanno pesato e molto nell'economia del campionato. Le sue leggerezze (che egli stesso ha candidamente ammesso, ndr) così come quelle del muretto. Non sempre macchina superiore la Ferrari, almeno in questo finale, ma costantemente  pericolosa per i rivali, veloce, affidabile, precisa e gentile sulle gomme come dimostrato ieri da Raikkonen autore di un secondo stint fenomenale di 54 giri con gomma supersoft. Dopo la parentesi russo-asiatica, Austin e Città del Messico hanno riconfermato bontà del lavoro dell'area tecnica capitanata da Mattia Binotto, corteggiato dalla Mercedes e al centro della presunta lotta interna alla Ferrari in seguito allo sbandamento interno occorso in seguito alla morte di Sergio Marchionne. 

La lotta fra costruttori, come ha ricordato ieri Maurizio Arrivabene, rimane ancora (sebbene solo per la matematica) ancora aperta: sono 55 i punti da gestire per la Mercedes con due sole gare da disputare e dunque al netto di cataclisimi non dovrebbe esserci partita. Ma ripartirà ne siamo certi già dal prossimo marzo. Il rendimento di squadra però sarà di nuovo centrale in chiave 2019, quando proprio in Ferrari la nuova line up di piloti e il giovane affamato talento di Leclerc potrebbe portare nuove sfide interne ma anche la voglia per i due piloti di spingersi fra loro. 

Per il momento rimane solo Hamilton ed è giusto che si parli di lui, capace di vincere con una macchina molto veloce ma non sempre stratosferica, e capace di farla lui la differenza. A volte ancora succede. 

Stefano De Nicolo'