Personalmente ho sempre ritenuto che l'impiego delle grid girls in Formula 1 (o in qualsiasi altra categoria automobilistica) sia sintomatico di un ambiente a maggioranza maschile, endemicamente superficiale, retrogrado e talmente becero da dare sempre il benvenuto a esemplari femminili appariscenti, meglio se in posa con la boccuccia a sedere di gallina o tenendo il volante al contrario a favore di obiettivo. Ragionando in termini di valore aggiunto alla causa della competizione, il contributo di una modella che regge una tabella in griglia è pari a zero, ma se guardiamo l'insieme con una visuale di volo a planare, abbiamo un escamotage estetico che mette assieme il brivido sportivo delle linee di una vettura da corsa con la grazia femminile dell'altra metà del Cielo. Una combinazione perfetta, come dice il tipo della pubblicità del fast-food. Uno specchietto per le allodole, diciamo noi con più disincanto.

Non è una novità scrivere che la Formula 1 contemporanea non sia più soltanto puro brivido sportivo, ma sia un prodotto e, come tale, necessiti di essere piazzato: lo sapeva bene Bernie Ecclestone e lo sa anche Liberty Media. Guardando a come si muove il Pianeta al giorno d'oggi, possiamo dire che un prodotto tira di più quanto più è neutro o politicamente corretto nel suo imballaggio: non ci vuole tanto acume per capire che se una fetta di potenziale pubblico plaude per posizioni descrivibili come "meno degradanti per le donne" bisogna inventarsi uno… specchietto per le allodole adatto. Bernie Ecclestone, per esempio, aveva provato l'esperimento dei grid boys, ma con risultati grotteschi: l'esito ridicolo e, concedendoci per un attimo la leggerezza di andare per primule con il pensiero, il potenziale per generare ulteriori discussioni sul perché utilizzare modelle e modelli, aveva fatto interrompere la prova.

Liberty Media, dal canto suo, gioca in maniera più radicale, ritenendo le grid girls inappropriate per la Formula 1, i suoi fans, ma soprattutto per la sua strategia di brand. Ed è qui che casca l'asino, perché estromettendo dalla griglia il dettaglio più appariscente, gli americani cercano di arruffianarsi il femminismo sbandierato a favore di telecamera e sponsor, ma nella realtà dei fatti non riescono a scrollarsi di dosso ciò che Susie Wolff aveva sintetizzato perfettamente il giorno del suo ritiro: la Formula 1 non è ancora pronta per avere donne in pista. Non è pronta, perché chiede lumi sull'automobilismo declinato al femminile a Carmen Jorda, una convinta che esista una disparità uomo-donna al volante. Non è pronta, perché potrebbe essere più ficcante sulla questione e (sempre lasciando libera la nostra fantasia) spingere su storie di personaggi come Kimberly Stevens, la tecnica aerodinamica della AMG Mercedes salita sul podio di Abu Dhabi 2015, per pubblicizzare che nell'ambiente le donne non è che servano solo a fare le belle statuine con la tabella in mano. Non è pronta, perché a prendere decisioni su temi scivolosi e basi così farraginose, poi si lascia campo libero a nostalgici dell'era Flavio Briatore in Benetton, con la musica truzza a tutto volume e le modelle sguinzagliate nel box alla stregua di chiavi inglesi e brugole.

La cosa certa è potremo fare a meno della presenza delle grid girls, e il Sole continuerà a sorgere ad est e tramontare ad ovest: se il nostro problema è cercare presenza femminile come fossimo cani da trifole, aguzzando bene la vista troveremo sempre nel paddock o in tribuna qualcuna degna di nota o intenta a mostrare la mercanzia, anche se non starà reggendo una tabella. Se però è vero quello che si dice, ovvero che Liberty Media e la Formula 1 vogliono davvero rivoluzionare l’approccio nei confronti del pubblico e derubricare come preistorico quanto fatto ai tempi di Bernie Ecclestone, crediamo sia arrivato il momento di impegnarsi sul serio.

Luca Colombo