Una vita da mediano, cantava Ligabue in una celebre canzone. Rievocando in un colpo solo, con un'azzeccata metafora della vita, il contributo instancabile, prezioso e costante di quegli uomini capaci di svolgere un ruolo fondamentale ai fini del risultato collettivo, spesso lontani dalle luci della ribalta ma insostituibili proprio per le caratteristiche che li contraddistinguono. Figure presenti praticamente in tutti gli sport di squadra, capaci di condurre per mano il gruppo verso l'obiettivo prefissato, svolgendo un lavoro oscuro ma capace al tempo stesso di consentire alla star più celebrata di cogliere un successo meticolosamente preparato. Da Oriali (esempio citato proprio dal rocker emiliano) nel calcio, sino ai cosiddetti "gregari" nel ciclismo, gli esempi si sprecano: ma non per questo occorre svalutare chi rappresenta una componente fondamentale nel duro processo di costruzione del successo.

 

La Formula 1, sotto questo punto di vista, è uno sport che non si sottrae alla regola: tanti "numeri due" hanno accompagnato negli anni il proprio "capo-squadra" fin sotto la bandiera a scacchi, magari nell'attesa (talvolta vana) che prima o poi potesse arrivare l'occasione giusta per mettere in mostra tutte le proprie doti e prendersi onore e gloria. Eppure, soprattutto sino a qualche anno fa (almeno prima della drastica limitazione dei test in pista) esisteva una figura per certi versi ancora più "nascosta", alla quale venivano negate persino le luci della ribalta di un Gran Premio, ma al tempo stesso preziosa e insostituibile: quella del collaudatore. Un pilota capace di sobbarcarsi migliaia di km nei test privati, di trascorrere giornate intere insieme ai tecnici sulle piste di mezza Europa, con l'obiettivo di sviluppare la monoposto e consegnarla in "perfetta forma" ai colleghi titolari. Inutile sottolineare l'importanza del lavoro svolto in questo senso, soprattutto perchè troppo spesso dimenticato o sottovalutato. Eppure, se si guarda indietro negli anni, al formidabile ciclo di successi conquistato dal duo Schumacher-Ferrari, non occorre dimenticare chi, da questo punto di vista, ha avuto il merito di rendere le monoposto del Cavallino quell'arma vincente capace di mandare in visibilio i tifosi di tutto il mondo: il suo nome è Luca Badoer.

Un nome che gli appassionati conoscono molto bene, ma che alcuni ricordano soltanto per le due apparizioni al volante della Rossa nel corso della stagione 2009, quando venne improvvisamente chiamato a sostituire l'infortunato Felipe Massa. Ma Badoer è stato anche molto altro: campione internazionale di Formula 3000 nel 1992, ha quindi disputato 50 Gran Premi in Formula 1 tra il 1993 e il 2009, al volante di BMS Lola, Forti, Minardi e, per l'appunto, Ferrari. Eppure, quello che per la quasi totalità dei piloti avrebbe rappresentato un sogno, per lui si è trasformato in una sorta di mezzo incubo. Capace quasi di svalutarne le doti agli occhi dei più superficiali osservatori, ma non certo di chi ha con lui lavorato a stretto contatto per anni. Alla fine, però, Luca Badoer le sue rivincite è riuscito a prendersele: il tempo e i fatti gli hanno dato ragione. Dopo quell'esperienza, il pilota trevigiano (una volta interrotto il lungo rapporto con il Cavallino) è volutamente tornato lontano dai riflettori: appeso il casco al chiodo, oggi si dedica all'azienda di famiglia, seguendo i primi passi nel mondo del karting del figlio Brando.

Ed è proprio sul kartodromo di Adria che riusciamo finalmente a sederci con Luca, per una chiacchierata su passato, presente e futuro. L'occasione è rappresentata dalle Finali Internazionali della Championkart, campionato in cui milita Brando: tra i tanti genitori che osservano con attenzione i rispettivi figli e li seguono con preziosi consigli, Luca si mescola con semplicità e umiltà, al punto farti quasi dimenticare che, fino a pochi anni fa, lui era a tutti gli effetti un pilota della Ferrari in Formula 1. 

Come riesci a conciliare il tuo attuale "doppio" ruolo, ovvero quello di papà ma anche di tutor per la carriera di tuo figlio? "La cosa più difficile è sicuramente quella di fare il papà, perchè quando lui corre io ho la tachicardia! Vederlo dal di fuori, capendo cosa prova, quando rischia e cosa tenta di fare è una cosa che mi fa soffrire abbastanza...per il resto cerco di dargli qualche consiglio dal punto di vista della guida e della strategia, anche se poi lui deve farsi la sua esperienza da solo e imparare dai propri errori".

Dopo aver concluso la tua carriera, attualmente di cosa ti occupi? E' una tua scelta quella di esserti allontanato dai riflettori dopo aver appeso il casco al chiodo? "Adesso mi occupo dell'azienda di famiglia: è un'attività molto impegnativa e stimolante, ma si tratta di una vita completamente diversa. Sicuramente è stata una mia scelta quella di aver voltato pagina, infatti raramente accetto di fare pubbliche relazioni che ancora mi legano a quell'ambiente. Ho deciso di tagliare i ponti anche perchè ero stanco di tutto ciò a cui avevo dedicato praticamente tutta la mia vita, almeno fino a qualche anno fa. Devo dire però che la trovo una cosa abbastanza normale, anche perchè non vedo il motivo per cui la stampa debba occuparsi ancora di chi ha deciso di smettere. Mi dà comunque grande soddisfazione ricevere ancora oggi tante gratificazioni per tutto ciò che è stato fatto in Ferrari, per il resto va bene così".

Hai iniziato giovanissimo nel kart, prima di approdare in monoposto e sbarcare in Formula 1 nel 1993. In quell'anno dividesti il box della BMS Lola con un campione del calibro di Michele Alboreto: che ricordo hai di quell'esperienza e quale fu il suo ruolo nell'introdurti in un mondo a te sconosciuto? "Sicuramente Michele ha rappresentato molto per l'automobilismo italiano, è stato un grandissimo pilota, un simbolo della Ferrari. Quando seppi che sarei stato il suo compagno di squadra ricordo di aver provato una grande emozione, anche perchè avrebbe potuto offrirmi la sua esperienza. Durante la stagione sviluppammo un ottimo rapporto, anche perchè imparai molto da lui: ovviamente il tuo primo avversario è sempre il compagno di squadra, e purtroppo ci trovammo costretti ad una lotta per la sopravvivenza alle prese con quella che...non era una macchina di Formula 1. La monoposto era disastrosa, e spesso ci trovammo costretti a sfidarci tra noi per la qualificazione: una situazione drammatica nella quale ci ritrovammo assieme, io agli inizi della mia carriera e lui sfortunatamente nella parte conclusiva".

Riguardando la tua carriera, possiamo affermare che il tuo più grande rimpianto sia rappresentato da quella gara al Nurburgring nel 1999, quando il cambio della tua Minardi ti tradì a poche tornate dalla conclusione mentre eri quarto? "Quella fu una stagione amara. Ci fu l'incidente di Schumacher, il quale venne sostituito da Mika Salo, quando io ero il terzo pilota Ferrari. Fu una scelta che ancora oggi non riesco a capire, perchè in quel momento ero allenato e preparato, ed il posto doveva essere mio. Fu una grossa delusione di cui ancora oggi non riesco a capacitarmi. Al Nurburgring avevo gestito la gara con le gomme da asciutto mentre tutti gli altri entravano ed uscivano dai box per cambiare le gomme. Ero così riuscito a risalire nonostante un errore durante il pit-stop nel corso del quale avevo perso circa 40 secondi, senza il quale sarei stato addirittura secondo. A qualche giro dalla fine si ruppe il cambio: in quel momento, complice anche la delusione Ferrari che avevo vissuto poche settimane prima, mi crollò davvero il mondo addosso. Evidentemente era destino che dovesse andare così, queste sono le corse".

Dalla stagione successiva si è poi aperto il lungo capitolo relativo al tuo impiego a tempo pieno in qualità di collaudatore del Cavallino. In molti, però, fanno "finta" di dimenticare che le vetture portate al successo da Schumacher furono in buona parte sviluppate da te, percorrendo in totale qualcosa come 135.000 km. "Sì, equivale a circa tre volte il giro della Terra...è un record ancora oggi".

Nessuno meglio di te conosceva la macchina di Michael: che tipo di rapporto avevi con lui in quegli anni? "Mah, direi che tipo di rapporto ho con lui: tutt'ora ci frequentiamo, vado spesso a trovarlo a casa sua. E' un rapporto che è partito sotto l'aspetto tecnico, perchè ci siamo conosciuti in pista, lavorando per lo stesso obiettivo. Da lì è nata poi un'amicizia veramente forte, un rapporto veramente speciale, anche perchè ci frequentavamo moltissimo anche al di fuori della pista, andando in vacanza insieme. Michael è il padrino di entrambi i miei figli, e sono molto orgoglioso di questa cosa. E' stata comunque un'esperienza fantastica aver lavorato con colui che è sicuramente il più grande campione di tutti i tempi: ho imparato molto da lui cercando di metterlo a frutto nello sviluppo, conoscendo le sue esigenze, il suo modo di guidare e questa sintonia ci ha uniti ancora di più. Una cosa che lui ha fatto spesso è stata quella di ringraziarmi pubblicamente per il lavoro da me svolto, quindi in un certo senso ho avuto anch'io le mie belle soddisfazioni".

I vostri destini agonistici si sono poi incrociati nuovamente nell'annata 2009, quando ci fu l'infortunio di Massa in Ungheria: inizialmente venne chiamato Michael per sostituirlo, dopodiché i suoi problemi al collo lo costrinsero a rinunciare. A quel punto, toccò a te: a distanza di sei anni da quell'esperienza, ti chiedo che cosa non funzionò e se, alla luce dei risultati ottenuti, accetteresti nuovamente la chiamata. "Assolutamente sì. Il sogno di tutti i piloti del mondo è quello di guidare la Ferrari nei Gran Premi. Prima di accettare, però, mi farei firmare un accordo blindato in base al quale avrei potuto disputare almeno più di due Gran Premi. A quei tempi, era più di un anno che non salivo in macchina perchè i regolamenti erano cambiati e non c'erano più i test. Quella macchina non la conoscevo affatto ed era inoltre una vettura poco competitiva e molto difficile da guidare a causa del Kers ancora da sgrossare. Quando subentrò Fisichella al mio posto ottenne i miei stessi risultati, avendo anche lì una piccola rivincita e dimostrando che i problemi non erano imputabili a me bensì alla macchina. La Ferrari mi diede l'opportunità perchè sapeva che ero un pilota veloce e affidabile, ma l'occasione capitò nel momento più sbagliato".

Da quel momento, come si sono evoluti i tuoi rapporti con la Scuderia? Hai qualche rimpianto? "No, il rammarico più grande è quello del 1999. Dieci anni dopo ero ormai a fine carriera, e avrebbe rappresentato al massimo un motivo di soddisfazione, ma senza particolari prospettive. Il rapporto è comunque proseguito molto positivamente: dopo la Formula 1, io ho avuto altri quattro anni di contratto per lo sviluppo delle auto stradali. Per fare un esempio, La Ferrari che viene venduta a qualche milione di euro è stata sviluppata da me. La collaborazione è terminata lo scorso anno perchè ho chiuso definitvamente a causa dei miei impegni, ma la Ferrari rimane una famiglia per me ed il rapporto rimane molto buono. Il mio addio è avvenuto nel corso di una cena di gala a Valencia, con Montezemolo che mi ha abbracciato sul palco davanti a una standing ovation, quindi le voci di un rapporto incrinatosi dopo quell'esperienza sono totalmente fasulle".

Guardando alla Formula 1 attuale, chi ritieni sia il pilota più completo nel Circus odierno? "Devo dirti che non seguo le cose in maniera molto approfondita, ma direi che al momento sono in diversi a contendersi la palma del migliore: Hamilton e Vettel sono due piloti di alto livello, molto preparati, completi e con la giusta mentalità. Vettel da questo punto di vista mi ricorda molto Schumacher, proprio per lo spirito di abnegazione che lo porta a voler crescere e migliorare insieme alla squadra".

Guardando al futuro, quali consigli daresti ad un giovane pilota che volesse approcciarsi al mondo delle corse? Quali sono i valori da tenere a mente, che naturalmente cerchi di trasmettere anche a tuo figlio? "I consigli sono gli stessi che darei a un ragazzo desideroso di entrare nel mondo dello sport o avente qualsiasi altro obiettivo nella vita: se veramente vuoi una cosa, occorre impegnarsi e fare di tutto per ottenerla. Se con l'impegno non dovessi riuscire ad ottenerla, comunque ci si arriva molto vicino. Quindi dipende solo da sé stessi. Questo vale in tutti i settori, anche in Formula 1". 

Marco Privitera

 

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